domenica 16 dicembre 2007

Mi piacciono da matti le chiese piccoline. Non troppo illuminate, profumate d'incenso, possibilmente con delle candele vere e non con quelle schifezze elettriche che imperversano ora. Mi ci siedo volentieri prima di andare al lavoro o in un attimo di pausa. Mi piace il silenzio, il raccoglimento. Alcune chiese sono proprio vissute e sono ancora più belle. Hanno poster dei ragazzini appesi in giro, annunci di incontri, ritrovi, gite, hanno un'anima. Ma anche quelle più tranquille sono belle. Accendo una candela e mi siedo. Mi guardo in giro, assorbo il silenzio, penso ai fatti miei. Ringrazio per quanto di buono - tanto, tantissimo, sconfinato - c'è nella mia vita. Ed, le bimbe, gli amici, una bella famiglia, tutti sani. Una casa, due gatti, cibo più che a sufficienza, l'acqua corrente, una bicicletta. Non mi sarebbe piaciuto nascere in un secolo o in un luogo meno comodo di questo, sono stata fortunata.
Non mi fermo mai più di cinque minuti, il mia spiritualità si scarica piuttosto in fretta; torno subito a pensare a quello che c'è da fare in ufficio o da organizzare per le piccole. Però ogni tanto un minutino di silenzio mi fa bene. Mo sostiene che questo è un chiaro segno di non-ateismo, ma io sono convinta di entrare in una chiesa perchè è il posto più vicino che ho. Se fossi in oriente, farei un salto in un tempio, se abitassi in mezzo alla natura mi metterei sotto un albero. Bello è fermarsi un attimo a pensare, non importa dove.

sabato 1 dicembre 2007

Dall'alto, guardo le mie mani. Lentamente, con pazienza, impastano. E' tempo di cappelletti, tra poco è Natale, la tradizione è passata a me. A noi, anzi, tutta la famiglia partecipa alla preparazione dei famosi cappelletti. Le piccole tirano la pasta, facendo a turno con la manovella, poi aiutano a riempirli, papà li chiude (e li rende tutti squadrati perfetti, da bravo nordico).
Guardo le mie mani e sparisce ogni suono. Non sento più la tv, non vedo più la famiglia né i gatti, le guardo e vedo le mani di mia madre. Vedo le mani delle mie bimbe, che impasteranno a loro volta. Vedo le mani di zie, nonne, generazioni di donne che hanno impastato. Vedo pentoloni che borbottano, grembiuli, vapore, anni di storia che ruotano attorno a una tavola imbandita. Le stesse mani che lavoravano i campi e ora schiacciano i tasti di un computer. Le stesse mani che lavavano i figli piccoli nei catini e ora li lavano sotto un bello scroscio di acqua corrente. Quelle che zappavano un orto e ora guidano la macchina. Mani che reggono un libro, amano, lavano, pettinano, accarezzano, portano la spesa, ammoniscono, ridono. Mani che impastano.
Alla fine sono sempre le stesse mani.