sabato 30 giugno 2012

Siamo arrivati a casa. Strano a dirsi, visto che siamo entrati da poche ore in un appartamento mai visto in una città che non conosciamo un granché (io per niente) e che i mobili non sono ancora arrivati. Bè, c'è già un divano, ci sono dei letti, la cucina era già lì, non siamo proprio in mezzo al nulla. Però è buffo arrivare in un posto nuovo e sentirsi a casa. Speriamo sia di buon auspicio per l'inizio di questa nuova fase. Mi sono venuti in mente diversi motivi:
° Qui tutti attorno a noi parlano la lingua che usiamo in famiglia
° Per quanti intervalli italiani possa aver fatto, i precedenti dodici anni di Olanda mi sono ormai entrati nel DNA e ora ritrovare sapori odori colori vissuti così a lungo mi fa sentire come se non fossi mai partita
° Lo shock da distacco ancora non mi ha colpito perché siamo sfatti dal viaggio
° Gli animali - che l'anno scorso hanno avuto bisogno di una settimana buona per ambientarsi nel barcone dove abbiamo passato l'estate - si muovono come se non avessero mai abitato da nessun'altra parte
° Ed e io siamo tornati a vivere insieme senza l'ansia del contare le ore che ci separano dalla prossima partenza
Potrebbe essere di tutto. E in fondo, chi se ne frega del motivo.
Certo arrivare con un bel solicello che scalda ma non ammazza (23 gradi contro i quasi quaranta di Bologna) aiuta ad entrare in sintonia col mondo. E poi ritrovarsi seduti davanti a due finestroni giganteschi che prendono tutto un muro del salotto e vedere le canne che si muovono nell'acqua sotto al balcone, sentirne il fruscio, guardare le papere che vengono a vedere chi sei è un po' surreale. Questo pomeriggio fuori dalla finestra ho visto volare dei gabbiani. Un po' guardavo loro e un po' il marito, come se i gabbiani li avesse organizzati lui come scherzo di benvenuto.
Il nostro quartiere è un misto di case molto olandesi, strapulite, con i vasi di fiori ordinati davanti al portone e i vetri tirati a lucido che si alternano a case incasinatissime, con biciclette e vecchie sedie lasciate in mezzo alla strada, erbe incolte che crescono davanti all'uscio e macchine sullo sporchino andante. Poco più in là invece c'è un quartiere che riassume l'Olanda in due strade. Belle case grandi, giardini curatissimi, fiori ai balconi, posti dove si respira una quiete tranquilla di chi ha molto più di quanto non serva alla sopravvivenza. Ma tutto rigorosamente colorato di viola e azzurro. Organizzati sì, troppo inquadrati mai.

martedì 19 giugno 2012

Socc'mel, ragazzi, che chèld, per dirla alla Crozza in versione Bersani. Una delle poche cose che non mi mancherà di Bologna, per riuscire a far due cose ci vuole il doppio dello sforzo. Ma la notizia che la Tobagi sia stata proposta per il CdA della Rai è una di quelle che mette di buon umore.

mercoledì 6 giugno 2012

Non so spiegare bene perché amo tanto Bologna? Nessun problema, ci pensa Corrado Augias sulla Repubblica del 2 giugno 2012, in risposta ad una mail inviata da una lettrice sul terremoto.

"Credo che molti, me compreso, abbiano sentito in modo particolare il dolore per questa sciagura. L'Emilia non è una regione come le altre, quel "Bel pezzo dell'Emilia" come la chiamò (2004) il nostro amico rimpianto Edmondo Berselli, è un concentrato di tutto ciò che ci piace in questo paese: ideali durevoli, un realismo temperato dalla fantasia, la passione per il lavoro ben fatto che non esclude il divertimento, le battute, anche quelle grasse, una religiosità alla don Peppone, lontanissima dalle perfide astuzie vaticanesche. Una terra di confine tra la cordialità mediterranea e l'efficienza settentrionale che non conosce gli eccessi di altre zone del paese, una terra la cui generosità comincia dalla sua cucina e finisce nella bonomia di quelle cadenze dialettali che richiamano da sole il buonumore."

E ancora Massimo Gramellini dalla Stampa del primo di giugno:

Ci stanno impartendo una lezione di vita. Non solo di sopravvivenza. Di vita. Questi sfollati che si spaventano ma non vogliono dare soddisfazione alla paura. Che piangono senza piangersi addosso. E che ricominciano a vivere, nonostante.

Nonostante sia un cumulo di macerie, il supermercato di Mirandola funziona ancora: a cielo aperto. Hanno portato per strada le merci, i carrelli e naturalmente la cassa. Bisogna pur nutrirsi, coprirsi, curarsi. I verbi primordiali del vivere continuano a essere declinati al presente e al futuro, nonostante.

Amare, per esempio. Alice e Davide hanno confermato le nozze, nonostante la chiesa abbia perso un po' di mattoni e il ricevimento sia stato dirottato fra le tende. Per la luna di miele si vedrà. Intanto c'è il miele, appena arrivato con il latte e i biscotti da Reggio Emilia sopra un Tir. E c'è la luna, che splende in un cielo di promesse e trema molto meno della terra.

La gastronomia di Medolla sforna gnocchi fritti, nonostante. Nonostante la gastronomia sia diventata una cucina da campo in mezzo alla piazza del municipio. Potrebbe accontentarsi di fare panini e invece preferisce esagerare.

E la merciaia? Ha pianto tanto e dormito in automobile con il marito più anziano di lei. Ma ieri ha riaperto bottega perché le donne del terremoto sono scappate di casa senza ricambi e si mettono in coda sotto il sole per fare incetta di mutande e reggiseno, nonostante.

La regina del marketing è la fruttivendola biologica che alle ciliegie sopravvissute alla scossa impone il cartello «duroni della rinascita», trasformandole nel frutto della riscossa. Intorno a lei scene di gentilezza e onestà che altrove sarebbero straordinarie, ma non qui, nonostante. Un cliente vuole un chilo di mele però non può pagarle perché il bancomat ha esaurito i soldi. La fruttivendola: «Le prenda lo stesso, pagherà domani». E lui: «Ci mancherebbe, vado a cercare un altro bancomat».

Poi ci sono i bambini che giocano, nonostante. E le loro mamme che cercano di trasformare il terremoto in uno spettacolo d'arte varia. Al piccolo che dopo una scossa di assestamento frignava, la mamma ha spiegato: «Adesso ti insegno un nuovo gioco. Il gioco del salterello». Il bimbo ha smesso di piangere. «Che gioco è?» «Funziona così: io canto una filastrocca e ogni volta che mi fermo, tu salti». La mamma si fermava ogni volta che c'era una scossa. Così le scosse sono diventate una parte del gioco e il bambino si è riempito talmente di gioia che non ha trovato più posto per la paura. E ha continuato a saltare, nonostante.