martedì 19 novembre 2013

La sindrome del gioco dell'oca. L'idea che una vita si sviluppi in modo lineare è una jattura. Non dico niente di nuovo, eppure cresciamo con l'idea che la vita alla fine sia un successo se si è andati per tappe, facendo tana secondo obiettivi abbastanza precisi. Scuola, lavoro, una famigliuola con tanti bei bimbi tutti sani belli ed educati, casa di proprietà - si inizia da quella piccola e si lavora per quella più grandina, magari con un giardinetto. Arrivati alla mia età si dovrebbe voltarsi indietro e guardare con soddisfazione ai tanti traguardi raggiunti.
Io se guardo indietro vedo solo un gran casino. Errori, occasioni perdute, praticamente nessuna tappa rispettata se non quella della famiglia. Non bellissima e iper-educata ma insomma anche se stortignaccola a me piace lo stesso.
Non bisognerebbe farsi fregare da quest'idea che se non hai seguito il manuale alla fine è stato tutto un fallimento. Per parecchio tempo questa sensazione l'ho avuta eccome. Ora invece mi sembra di aver ricominciato cento volte, novantanove delle quali sono state una cazzata, eppure ritrovarmi spesso alla casella di partenza mi è servito. Perché alla centesima volta ho imboccato una strada che mi piace e chissà se mi sarei resa conto che era proprio la via giusta se l'avessi percorsa fin dall'inizio, senza termini di paragone. Forse quello che ora vedo con chiarezza e mi sembra speciale mi sarebbe sembrato banale se non avessi conosciuto altro. O forse avrei fatto bene a mettere la testa a posto molto prima e a quest'ora andrei molto fiera del mio giardinetto.
Comunque sia, son grata per le esperienze passate ma direi che questo giro può anche essere l'ultimo, facciamo che la strada rimane questa.

lunedì 4 novembre 2013

Alla fine non è seguita nessuna delibera familiare perché la democrazia in certi casi non funziona. Metà famiglia è per la libertà (io perché non sopporto l'idea di tenerla chiusa contro la sua volontà, babbo perché spera che una volta o l'altra non torni) e l'altra metà la vorrebbe tenere in casa per sempre. Alla fine decido io così si fa prima.
Però prima la facciamo inciccionire un pochettino (mi sento come la strega di Hansel e Gretel che cerca di far ingrassare il bimbo prima di divorarlo) e poi riapriamo le finestre e vediamo dove va.

venerdì 1 novembre 2013

La gatta è rientrata, dopo quasi una settimana fuori con la tempesta, le lacrime della piccola, i nervi della mamma e la segreta soddisfazione del babbo che aveva meno confusione in casa (salvo poi chiamarla a gran voce ogni volta che passava per il quartiere in bici rientrando dal lavoro).
Ora sorge spontanea la domanda: che facciamo, la chiudiamo in casa a vita per risparmiarci ogni volta una sincope collettiva o rispettiamo il suo bisogno di libertà e la lasciamo andare? Tanto poi quando ha una fame blu rientra (è la metà del gatto che era, che già non abbondava in modo particolare).
Segue delibera familiare.

lunedì 28 ottobre 2013

E allora sono qui con il mio omino sgarrupato durante un turno estremamente tranquillo. Ho fatto tutto quello che dovevo fare, ho cercato qualcos'altro da combinare, ma alla fine c’è ben poco da inventarsi. Tutto è in ordine e tranquillo, l'amico va a nanna tra un'oretta e io giro con questo buco nel basso ventre che non sentivo da anni. La sensazione che qualche mostriciattolo bitorzoluto e maligno voglia tirarmi via le ovaie dondolandoci sopra.
La causa non dovrebbe essere drammatica. La nostra gatta ha scelto un'altra volta la libertà. Ormai la strada di casa la conosce, se avesse voluto tornare l'avrebbe già fatto. Ogni tanto in un momento di distrazione infila la porta ma poi torna sempre a bussare, o a strillare come un'aquila come quando una notte per errore l'abbiamo chiusa in balcone. Invece questa volta nulla, son due notti che è fuori e mi sa che non ha nessuna intenzione di tornare. Ovviamente ha scelto di andarsene proprio mentre sull'Olanda, come su buona parte del Nord Europa, si abbatte la tempesta San Giuda (Che razza di nome. Ma Giuda poi era un santo? Boh). Quindi oltre alla preoccupazione del gatto vagante al freddo senza cibo né coccole si aggiunge la paura delle raffiche di vento a 150 km all'ora che si portano via i cristiani, figurarsi una micia di due chili scarsi. Ed sostiene che se ne è andata perché voleva morire da sola. Senza conoscere la gatta in questione, due colleghe separatamente hanno espresso la stessa opinione. Le ovaie sono a terra.
Come faccio a tirar via il dolore delle piccole? Una con lacrime a fontana e l’altra con un dolore sordo e muto, sono angosciate. E' la prima volta che un pezzo di famiglia viene a mancare. Per fortuna non hanno termini di paragone più drammatici ma non riesco a spiegare loro che è "solo" un gatto. Anche perché per me è "solo" un bel niente.
A rendere le cose più oscure sta il fatto che mentre noi piangiamo per un animale la nostra amica partorisce prematuramente il suo bambino che abbiamo aspettato insieme con trepidazione. E' arrivata appena a metà gravidanza, il piccolo Christopher è a due settimane da qualsiasi possibile forma di sopravvivenza e questa sera ci dice addio. Insomma, sopra Cartoonia si è addensato di colpo un nuvolone scurissimo, in tutti sensi. La tempesta più forte degli ultimi vent'anni si è portata via un bebè che non vedevamo l’ora di abbracciare e uno dei sette membri della nostra famiglia. Io da una parte mi vergogno a paragonare le due cose ma dall'altra mi sento stretta nel medesimo angolino buio da entrambe.

domenica 27 ottobre 2013

P.S. E oggi son 32.
Uuuh, è arrivato l'autunno! Il mio computer sostiene che sono le sette e un quarto, in realtà sono le otto passate. Dobbiamo ancora cambiare gli orologi in famiglia, questo si è aggiustato da solo. La truppa dorme ancora beata, sfatta dall'emozione della prima partita di calcio vista allo stadio con babbo ieri sera. Sono sveglia dalle quattro della mattina e ora mi sono accucciata sul divano. Copertina da vecchietta, buio pesto, cane sul divano con una zampa sulla mia pancia ("Mia"). Fino a ieri abbiamo girato in maniche di camicia. Cielo azzurrissimo, nuvolette bianche decorative, foglie svolazzanti. E già lì era un bell'andare. Ora invece sono qui immersa nel buio e nel silenzio, guardo fuori e piove, dalla finestra entra una bell'arietta frescolina ed è bellissimo. Peccato per i gatti che reclamano la colazione e lo sguardo implorante di Alice, che ora dovrà aspettare per la sua passeggiata mattutina. Rubo ancora cinque minutini per apprezzare quant'è bello il maltempo visto da sotto una coperta calda.

martedì 24 settembre 2013

Passano anni tra un abbraccio e l'altro. Non settimane, non mesi, anni. Eppure quando la grande dimentica di detestarmi e tra una chiacchiera e una risata mi abbraccia mi si ferma il cuore e penso che sia valsa la pena di aspettare ogni singolo minuto.

giovedì 19 settembre 2013

Nel canale sotto il balcone di casa c'è uno stormo di papere che fa un casino pazzesco. Cos'hanno da litigare non lo so. Però il solo fatto di averle letteralmente sotto il naso ancora mi sorprende. Niente da fare, sono e resto troppo cittadina (anche se ora posso vantare un altro passo nella mia personalissima casalinghitudine, ossia la marmellata fatta in casa. Dai, un che di campagnolo ce l'ha).

giovedì 29 agosto 2013

Uno dei nostri ragazzi Down è gay. Niente di male, tranne l'imbarazzo nel fare la spesa insieme quando questo fissa tutti i ragazzi giovani, apprezzandoli a voce alta ad ogni piè sospinto ("Che figooooo!!!)
Un giorno sono lì che chiacchiero con la sua mamma e mi dice che nel fine settimana sarebbe venuta a prenderlo prima del solito. Ok. "Lo portiamo ad un club a ballare" "Oh, che bello", dico io. "Un club per ragazzi disabili omosessuali".
Vivo in un Paese così iper-organizzato da avere club per disabili omosessuali.
Non so bene perché, ma la cosa mi colpisce come eccesso di solerzia. I club 'normali' non andavano bene uguale?

venerdì 23 agosto 2013

Mi piacciono i Barbapapà, Diabolik, Eta Beta e Calvin & Hobbes.
Amo mangiare mele cotte con uvetta, noci e cannella.
Le passeggiate nel bosco col cane sono una vera delizia.
Amo la mia famiglia nel senso più allargato del termine e respiro grazie agli amici.
Adoro le ore rubate alle cose sensate per leggermi un bel libro accovacciata sul divano, magari sotto una bella coperta calda mentre fuori fa un freddo becco. In mancanza di un bel libro, va benissimo anche una bella serie televisiva.
Rido a crepapelle guardando Stewart e Colbert.
Mi piacciono il rosso e il giallo.
Da piccola adoravo Starsky e non è che mi sia mai passata del tutto. Per non parlare di House, ma quello si sa.
Buoni i cappelletti, le crostate, i biscotti ad esse per metà al cioccolato.
Evviva il Natale, le decorazioni e le lucine.
Monty Python.
Le edicole dove comprare una pila di giornali da leggersi sotto l'ombrellone.
Topolino.
NPR.
Cano, gatto ciccione e Louise.
E molto altro ancora :-)

domenica 18 agosto 2013

A me veniva l'espressione 'ancorata a terra'. Poi ho letto in un libro questa frase, e mi sembra azzeccata: "...dice ci vediamo [...] e poi sparisce. Nessuna formalità. Si entra e si esce, come in un mondo facile".
Mi sembra che i due concetti si avvicinino. Quello dei piedi per terra, piombati, sicuri e quello di un mondo facile e senza grossi ostacoli.
E' un po' che non aggiorno il blog, mancano parecchi dettagli. La scuola delle ragazze che non va proprio come dovrebbe, il lavoro che invece procede, le figliuole pre- e pienamente adolescenti che crescono con moto ondivago, i sensi di colpa e i dubbi che come sorgono vengono prontamente razionalizzati e riseppelliti. Insomma, una vita come tante.
Ogni tanto però, passeggiando per i miei bei boschi con il nostro amatissimo improbabile cane, mi domando da dove mi venga questa sensazione di essere piantata a terra. Ricordo ancora nettissima la sensazione che provavo a Bologna, galleggiando nel mio cucinotto al settimo piano con le varie amiche delle figlie che gironzolavano per casa. Mi sentivo al mio posto, esattamente nell'angolino di mondo che più mi si addiceva, e lo dovevo ai miei affetti. Le amiche e i membri della nostra grande famiglia mi tenevano radicata, dandomi la sensazione di essere esattamente dove dovevo essere.
Qui non mi sono ancora dedicata a un nuovo giro di amicizie. Sarà l'età, ma accetto di buon grado e in allegria di avere delle colleghe simpatiche, delle vicine di casa in gamba, ma non ho né cerco delle amiche 'del cuore'. Eppure non mi sento sola o alla deriva, anzi. Allora ci ho pensato un po' su e ho capito che devo questa fortuna al lavoro che faccio. Più vicina a terra di così non potrei stare. Curare i ragazzi, specialmente quelli gravi, comporta una fatica fisica che mi si addice. A stare otto ore dietro a computer occupandomi di concetti, teorie e cose poco concrete alla fine mi scivola via il cervello, divento inquieta. Qui invece lavo curo nutro e pulisco, uso le mani oltre che la testa, cammino per ore di fila e non conosco lo stress. La fatica sì, ma lo stress no. Proprio perché vivo in 'un mondo facile'. Facile in quanto concreto, senza troppi grilli per la testa.
Parlavamo durante le vacanze con degli amici a Bologna e ci raccontavano che l'aver acquistato una villetta ha scatenato una serie di ansie e paure mostruose a degli amici comuni, abituati a vivere in appartamento al nono piano. Hanno barricato la nuova casa, mettendo grate e inserendo allarmi. Sono rimasta colpita da questa reazione così lontana dalla nostra. Qui il non avere cancelli, scalini, ascensori ma una semplice porta che si apre e sei in strada mi rassicura molto. Anche lì, mi sembra di essere più vicina alla terra, con i piedi su qualcosa di solido.
Quante scemenze passano per la testa passeggiando per il bosco col cane.

lunedì 8 aprile 2013

Altro aspetto semi-miracoloso del mio lavoro. Sono la persona meno paziente del globo, fatto tristemente risaputo. E finché lavoro con il gruppo di ragazzi autistici il caratterino non mi intralcia, anzi. Loro operano ad una velocità normale e la scarsa predisposizione al polleggio mi aiuta a tenerli in riga.
Però ogni tanto lavoro con il gruppo dei ragazzi Down. Che - va detto - sono bellissimi. Perché ogni  cosa che proponi li entusiasma, perché andare negli stessi posti mille volte li elettrizza ogni volta come se fosse la prima, perché ti caricano di baci appena ti distrai un secondino, perché hanno un gran senso dell'umorismo e si sta bene insieme. Però hanno dei tempi biblici ai quali devo fare l'abitudine. Se sai che devi uscire di casa alle due, è meglio mettersi a tavola a mezzogiorno. Perché il panino va imburraaaaato con calma, millimetro per millimetro. E la nutella va spalmata seeeeenza fretta, angolino per angolino. E poi bisogna bere il bicchiere di latte con grande flemma, fino all'ultimissima goccia. E tra un sorso e l'altro bisogna rimettere il bicchiere esattamente al suo posto, aggiustandolo con precisione millimetrica.
Il miracolo consiste nel fatto che non mi viene da urlare. Sicuramente se a casa le figlie si muovessero con dei ritmi simili tirerei fuori il lanciafiamme. Isterica come sono, sopporto a fatica le lungaggini. Invece al lavoro sono lì e li guardo, chiacchiero mentre anch'io sono costretta a rallentare e masticare lentamente, ponderando bene ogni boccone, altrimenti finisco di mangiare in un attimo e poi mi tocca aspettare due ore che finiscano anche loro.
Magari riuscissi ad imparare a portare un po' di questa pazienza anche in famiglia.

giovedì 14 marzo 2013

Chiara ha finalizzato per prima il rientro. Questa sera eravamo a cena e tutto d'un tratto si è messa a tagliare gli spaghetti con forchetta e coltello. Il resto della famiglia l'ha guardata inorridita esclamando "Ma sei impazzita? Da quando in qua un'italiana taglia gli spaghetti?!?" Senza neanche alzare lo sguardo dal piatto ha risposto serafica: "Io non sono italiana, sono olandese".
La prima è persa, ora vediamo il resto della famiglia quanto ci mette. Babbo era già di parte, il che significa che abbiamo raggiunto il 50%. Martine e io ancora non ci siamo arrivate. Personalmente vado e vengo dall'Olanda dal lontano 1991 e ormai non credo raggiungerò mai lo stato di olandesizzazione totale, ma per la grande ci sono ancora speranze.

lunedì 11 marzo 2013

Che i figli ti obblighino a crescere è una banalità conosciuta. Si passa da essere i piccoli da crescere ad essere educatori. Ti tocca rivedere le regole che hai seguito, soppesare quali tieni e quali cambi, affrontare ogni giorno cento situazioni impreviste, convivere con mille dubbi per ogni pensiero che ti passa per la testa.
Quel che non calcoli però è che poi ti capitano i figli che ti capitano, ognuno con il loro carattere ben definito, e ogni giorno affronti un pubblico diverso. Cambiano loro, cresci tu, nuove situazioni pongono nuovi quesiti.
Rimango sempre sbalordita al vedere come due figlie nate dagli stessi genitori ed educate allo stesso modo possano essere così diametralmente opposte. Una è chiusa come un'ostrica; i milioni di pensieri che le ronzano in testa, l'universo mondo di sentimenti, le montagne di parole che ha in testa escono con il contagocce. Dentro ribolle ma poi è come se la lava si raffreddasse di colpo a contatto con l'esterno e l'unica cosa che sgocciola fuori sono monosillabi. Una volta ogni tre, quattro anni tutto d'un tratto infila due frasi e tu trattieni il respiro facendo finta di nulla per non spaventarla e intanto pensi "Oddiomaalloraparla. It's alive!"
L'altra non ha freni. Quello che pensa glielo leggi subito negli occhi e un nanosecondo più tardi l'ha già buttato fuori. Tra il cervello e la lingua non ci sono barriere, pensieri sogni emozioni non hanno un sistema di regolazione termica, un momento è la gioia assoluta e il momento dopo siamo in lacrime.
A me come mamma sembra di avere metà corpo ricoperto di ghiaccio e l'altra metà in preda alle fiamme. Una va approcciata con circospezione e aperta con un coltellino, l'altra ti sommerge di emozioni scorticate e tu non devi farle risonare troppo per non rispedirle al mittente amplificate. Ha ragione il mio adorato Hugh Laurie: ""Girls are complicated. The instruction manual that comes with girls is 800 pages, with chapters 14, 19, 26 and 32 missing and it's badly translated."
Però a me piacciono lo stesso più di quanto non possa mettere in parole senza cedere alla melassa, quindi mi barcameno cercando di fare meno casini possibili, e che il cielo me la mandi buona.

martedì 26 febbraio 2013

Essere nevrotici funziona così: hai una vita tranquilla, fai un lavoro che ti piace ma non ti prende troppo tempo, riesci a star dietro alla casa e alla famiglia, hai dei ritmi abbastanza rilassati. Sdraiata mollemente sul divano per delle ore non ci stai, perché non riesci a star ferma per troppo tempo, però riempi le giornate senza stress eccessivo. Non ti fermi ma non ti rincorri nemmeno.
Poi ti viene data l'occasione di lavorare un po' di più e ne sei felice. Lavori spesso nei fine settimana o durante le vacanze, vedi la famiglia magari un po' meno, ma ancora riesci a combinare tutto e già sogni le pazzie che farai con il tuo lauto stipendio (pigiama nuovo, aspettami).
Poi ti viene la bella pensata che visto che hai del tempo libero sarebbe bello seguire dei corsi universitari online su argomenti che ti hanno sempre affascinato pur non capendoci un tubo. Così programmi due corsi, uno di fisica e uno di fisiologia, pensando che smuovere un  po' le cellule grigie non può che farti bene.
E poi ovviamente tutto si accartoccia. Il tuo planning scientifico viene scompigliato dalle università che cambiano le date di inizio dei corsi, che ora si vanno a sovrapporre. Lavorare su turni senza orari precisi ti manda in confusione, tanto da prendere appuntamenti che poi non riesci a rispettare o scoprire che devi essere al lavoro tra un'ora quando per caso getti un'occhiata sul calendario in cucina sorseggiando un tè.
Torna la sensazione tanto conosciuta di non riuscire a star dietro a tutto, pensi al lavoro mentre studi, alla lista della spesa mentre sei al lavoro, cerchi di incastrare gli appuntamenti delle amiche delle figlie mentre dallo schermo del tuo computer una compita professoressa cerca di spiegarti la pompa sodio-potassio aptasi.
E tutto questo perché? Perché te la sei andata a cercare. E come mai te le sei andata a cercare? Perché sei una nevrotica incapace di trovar pace.

venerdì 22 febbraio 2013

Eppure mi ricordo di averlo letto da qualche parte. Ora non riesco a supportarlo con niente di scientifico, ma da giorni mi gira per la testa questa raccomandazione tramandata dagli indiani d'America: quando ti metti in viaggio, dopo qualche giorno mettiti seduto e aspetta che la tua anima ti raggiunga.
Ora, non so tecnicamente quanto tempo la mia anima abbia deciso di prendersi per raggiungermi. La vita qui all'Aja è molto più rosea del previsto e se solo osassi lamentarmi credo che il cielo mi fulminerebbe all'istante. Ormai siamo qui da otto mesi buoni, sarà mica ora che il mio cuore si decida a lasciarsi Bologna alle spalle?

giovedì 21 febbraio 2013

No, no, la tecnologia è bella. Semplifica la vita, accorcia le distanze, tutto bene.
Però non dimentichiamo che sono nata prima che facesse parte della nostra esistenza, ancora mandavo lettere di carta e telefonavo all'amato una volta a settimana da una cabina telefonica con la scheda. Bisogna crescere insieme alla vita che si evolve, ma non bisogna neanche pretendere troppo...
Piscina ultramoderna, bella cosa. Mi cambio, mi avvicino agli armadietti con la mia monetina e il mio fagotto di vestiti e gli sportelli non hanno serrature. Sono bianchi, scintillanti, lisci come l'olio. Hanno solo inciso un numero sopra. Mi guardo un po' attorno e vedo uno schermo tipo quelli dei bancomat. Mi avvicino e cerco di capire. Schiaccio qualche pulsante, mi muovo a tentativi e alla fine capisco che va così: clicchi sullo schermo per richiedere un nuovo sportello. Il computer ti chiede di entrare un codice pin. Per sicurezza uso lo stesso del bancomat, conscia dei tristi limiti della mia memoria. Lo schermo ti chiede una monetina, tu la metti dentro e lui ti risponde con il numero del tuo sportello. 401. Mi giro e vedo che si è magicamente aperto da solo. Caccio dentro la mia roba, terrorizzata. Ho buone speranze di ricordarmi il codice per riaprire il tutto, ma ho la certezza di dimenticare all'istante il numero dello sportello. Un po' perché la mia memoria è pateticamente nulla, un po' perché più una cosa è importante da ricordare, meno il mio cervello collabora. 401. 401. 401. Vado a fare la doccia. 401. Entro in acqua. 401. Ogni bracciata ha un numero. 401. 
Alla fine ce l'ho fatta. Ho inserito il mio pin, lo sportello si è riaperto da solo, ho ripreso la mia roba. Però gli effetti benefici dell'acqua vanno a farsi benedire in questo modo. La prossima volta mi scrivo il numero su una mano con un pennarello indelebile.

martedì 12 febbraio 2013

Sono le cinque di sera e c'è ancora un mucchio di luce! Oh yeah, stiamo andando nella direzione giusta.

lunedì 11 febbraio 2013

Che debacle.
Anche oggi piscina. Fino ad ora ero andata in una piscina in un paesino qua vicino, picinìn, molto pittoresca. Una piscina normale per persone normali, vasche da 25 metri da percorrere a ritmi umani. Mi sentivo quasi in forma.
Questa mattina ho pensato bene di andare alla piscina olimpica che hanno aperto da poco qui vicino a casa. La vedi letteralmente dal liceo di Martine, ci si arriva in un attimo. Nuova, scintillante, pulitissima. Il concetto di 'olimpica' però non si è fatto carne fino a che non mi sono trovata in acqua. A un certo punto ho alzato gli occhi, convinta di essere arrivata, e sono rimasta imbambolata. Ero a metà strada. Primo pensiero "Oh, cazzo." Secondo pensiero "Adesso affogo. Sento il cibo che torna su, svengo, se vado giù ci sarà un bagnino da qualche parte, oddio il tizio dietro di me sta arrivando come un siluro." Terzo pensiero "Boccadoro, datti una calmata. Da quando in qua non ti senti a tuo agio in acqua, riprenditi." Quarto pensiero "Bon, continuiamo a nuotare".
La piscina era divisa in corsie, tre per sole vasche e il resto stipato da gente che nuotava beata a cagnolino, riuscendo anche a non disfarsi la piega e chiacchierando amabilmente con chi gli stava accanto. Ho cercato di tirar dritta con le vasche. Peccato che le mie corsie fossero piene di androidi in forma fisica splendente, che vedevo sfrecciare avanti e indietro mentre io conquistavo faticosamente prima una sponda e poi l'altra, regalandomi la netta sensazione di essere una mozzarella galleggiante che impiccia chi va lì a nuotare per davvero.
Mi sono spostata nelle corsie più da relax, ma in effetti i ritmi erano troppo polleggiati anche per me. Alla fine sono andata a farmi la doccia, totalmente sconfitta. Avvolta dal mio bel costume rosso squillante mi sentivo un Gabibbo fuori forma.
Ora mi si aprono due strade. A): continuo ad andare a nuotare e prima o poi rileggo questo post sorridendo del budino che ero. B): gliela do su.
A giudicare dalla cofana di pasta che mi sono sbafata al rientro, seguita dal rotolo di biscotti al cioccolato - un classico da frustrazione - temo che sia la seconda che ho detto.

lunedì 28 gennaio 2013

Certo che nove anni a Bologna mi hanno proprio marcato. Dovevo andare al consolato italiano ad Amsterdam per rinnovare il passaporto, operazione possibile solo su appuntamento previa prenotazione online. Ok, verso ottobre sono andata sul sito e il primo buco disponibile era questa mattina. Non avendo viaggi in programma, purtroppo, mi andava bene così. Memore di tanti incontri-scontri con la Pubblica Amministrazione italiana, come unica precauzione ho telefonato per essere certa dei documenti necessari. O meglio, ho provato a telefonare per settimane di fila senza successo. Dopo circa cinque settimane di tentativi alla fine mi ha risposto una signora - quando ha tirato su per poco non mi strozzo dalla sorpresa. Molto gentile, mi dice che mi servono due foto e un documento che posso scaricare da internet, compilare e far co-firmare al marito come assenso ad un eventuale viaggio all'estero con le ragazze senza di lui. Mah, mi sembra un po' troppo semplice, ma ci credo.
O meglio, pensavo di averci creduto. In realtà mi accorgo di aver preparato questo viaggio ad Amsterdam come se fossi dovuta andare in missione in Afghanistan. Orari del tram, dei treni, binari da dove si parte, tragitto per arrivare in consolato a piedi o con i mezzi, numeri di telefono d'emergenza. Ho preparato la borsa due giorni prima, salvo poi controllare cento volte se avevo dietro tutto (considerato che eran due cose, avevo dietro tutto).
Immaginate quindi la mia faccia sbalordita quando, dopo una misera mezz'oretta di attesa, non solo ho scoperto di aver dietro tutti i documenti necessari, ma mi sono ritrovata sulla via del ritorno con il passaporto nuovo in mano. Niente attese di 180 giorni lavorativi, niente 'quando è pronto la contattiamo', niente iter impervi e oscuri. Due foto, un modulo e a casa con il mio scintillante passaporto in mano. Strabiliante.
In compenso ho fatto una scoperta che ancora non so come catalogare. Che qui ci fossero i treni a due piani lo sapevo già. Ma in quello che ho preso questa mattina sulla porta dello scompartimento di sotto c'era un adesivo di due omini stilizzati che si sporgevano uno verso l'altro, mentre al piano di sopra l'adesivo mostrava un computer, delle cuffie e un libro. Quindi sotto è per chi ha voglia di passare il viaggio chiacchierando e sopra è riservato per chi vuole stare in santa pace.
Ancora non so cosa pensarne. Ammirare la civiltà e l'organizzazione democratica di un popolo che rispetta i desideri di cittadini variegati o inorridire all'idea che qui c'è una regola precisa proprio per tutto.

giovedì 17 gennaio 2013

Oggi son tornata a nuotare. Adoro il nuoto, io che considero qualsiasi forma di movimento che non sia una passeggiata col cane un supplizio inutile e insopportabile. In acqua tutti i pensieri ingarbugliati nella testa si dipanano come per magia. All'inizio solo perché devo stare attenta a mille cose, le bracciate, muovi le gambe, non ti scordare di respirare e via dicendo. Poi a un certo punto il corpo va da sé ma ormai la mia capacità di formare pensieri più o meno coerenti si è sciolta in acqua e ho la testa vuota. L'ha descritto bene mia cugina in un suo post, che rubo e incollo, definendo il nuoto un'esperienza sublime. Non potrei esser più d'accordo.

"Entri in acqua malvolentieri e già dalle prime bracciate capisci che sarà dura. I muscoli sono rigidi e ti sembra di non galleggiare. Vasca dopo vasca speri che prima o poi ti scioglierai e intanto cerchi di pensare ad altro. Le prima 40 vasche non passano mai. Va bene la noia, ma oggi c’è anche la fatica. Così decidi che arriverai solo a 2500 metri invece dei soliti tremila. Arrivata ai duemila sei ancora in affanno, altre 20 vasche ti sembrano un’eternità da nuotare.
Poi, all’improvviso, CAMBIA qualcosa. La bracciata si scioglie e diventi LEGGERA. Cominci a scivolare sull’acqua come ti piace, senti il gesto tecnico che migliora, percepisci ogni minima variazione di assetto, allunghi la presa, la accorci, sperimenti, non nuoti più ormai, quasi giochi con l’acqua, che è tornata tua amica. Non c’è più freddo o caldo, né fatica, né obiettivo da raggiungere, sei avvolta da un totale senso di BENESSERE e persino i pensieri sembrano galleggiare.
Forse è così che ci si sentiva nel caldo riparo del liquido amniotico, quando la vita era una potenzialità tutta da esplorare e non ancora un susseguirsi disordinato di molte occasioni perdute e pochi sogni realizzati.
Sospesa fuori dal tempo, in un’altra dimensione, perdi il conto delle vasche, sai che hai già superato la soglia prevista, ma continui, una bracciata via l’altra, semplicemente perché è impossibile smettere. E’ sceso anche il silenzio. La stessa superficie dell’acqua si è fatta più calma, e quasi ti dispiace scomporla."

lunedì 14 gennaio 2013


Quando poi l'acqua dei canali si ghiaccia, arriva la neve e sotto casa vedo le papere camminarci sopra mi rimane sempre e solo la stessa parola: surreale.



E son quarantacinque!
So di coetanei che faticano a mandar giù l'età, per questo mi domando come mai io ne sia invece elettrizzata. In realtà di norma il mio compleanno passa sotto relativo silenzio, perché arrivo a metà gennaio sfatta da tutte le feste comandate e ain pos piò. Infatti mi sa che non ho sparso bene la voce nel corso degli anni, perché mi ha chiamato gente diversa in date diverse, però tutti nella settimana giusta, hi hi. La pietra miliare dei 40 in compenso l'ho festeggiata con ben tre feste diverse e anche questi 45 mi ringalluzziscono da matti.
Forse ha qualcosa a che fare col fatto che ho tre fratelli maggiori (il più 'piccolo' ha comunque sei anni più di me, son grandi sul serio) e arrivare sopra i quaranta mi concede il lusso di non essere più la piccola di casa. Ma regge poco, perché poteva essere così anche per i trenta, a ben pensarci. Oppure vale il fatto - già menzionato in qualche altro post - che rendo grazia al cielo sempre e comunque per esserci arrivata, per di più con più gioie che dolori. O ancora vale che anche se nella mia mente ho sempre vent'anni non riesco ad abbracciare la mania moderna dell'eterna gioventù. In qualunque altro periodo storico a quest'ora sarei stata la vecchietta del villaggio e la cosa non mi turba per niente, anzi. Mah. Non so perché, comunque mi godo il mio bel traguardo in allegria. E per festeggiare ora vado a fare lo spesone, perché purtroppo il frigo vuoto se ne frega della mia maestosità.

sabato 12 gennaio 2013

L'Italia è un caffellatte.
Questa mattina Martine se ne è bevuta uno per colazione, dopo mesi che non lo prendeva. Tutto d'un tratto è tornata indietro nel tempo, per lei il caffellatte sa di Italia. Come la capisco! Anche per me è così. Le è venuto un coccolone da nostalgia, cosa che per altro ancora non l'abbandona mai per troppo tempo. Io purtroppo ho dovuto rinunciare a questa gioia sublime, perché con l'età sono diventata intollerante al lattosio. Però il resto della famiglia ancora lo beve e quando ne sento il profumo mi sciolgo.
Ora viaggio a tè. Litri e litri, dai più normali ai più esotici. L'Italia è un caffellatte, l'Olanda una tazza di tè. Ognuno dei due con i suoi pregi, ma proprio due mondi diversi.