domenica 20 luglio 2014

Poi faccio festa.
Se dovessi fare una classifica dei momenti più incasinati di una vita incasinata l'ultimo anno a Bologna vincerebbe a mani basse. Tra l'azienda, la casa, le bestie (intese come figlie), gli animali (intesi come bestie), il marito già all'estero, il cuore sotto i tacchi per la partenza, il trasloco da organizzare, la necessità di traghettare le ragazze in una nuova vita non desiderata nel modo più sereno possibile e tutto il corollario direi che ho avuto da fare. In realtà se ci ripenso non sento nessuna fatica, ricordo solo gli amici, l'allegria e la bellezza della città che amo e chiamo abusivamente mia. Però so anche che ogni tanto pensavo "Una volta sistemati in Olanda, faccio festa." Poi siamo arrivati in Olanda e ho iniziato a pensare "Oh, appena trovo un lavoro, faccio festa." Il lavoro l'ho trovato, un lavoro assurdo che amo con una passione malriposta e mi sono detta "Cacchio, però, se riesco a prendere un diploma per rimanere nel campo, faccio festa."
Ora il diploma è a portata di mano. Il primo esame, quello più rognoso, è andato. Le tesine sono consegnate, mi mancano solo un paio di relazioni e tre esami meno preoccupanti. Ho compresso in dieci mesi un percorso di studi di quattro anni, chiedendomi tutto il tempo che cacchio fai in quattro anni se in realtà ce la puoi fare in molto meno tempo, senza calcolare che si fa in pochi mesi solo se si è disposti a sospendere il resto della propria vita per tutta la durata del corso.
Allora, faccio festa? No, ora penso: "Appena trovo un altro lavoro, faccio festa." Eh, no, così non vale. Perché aspetto sempre il prossimo traguardo per fermarmi un attimo a pensare "Oh, ce l'ho fatta, mò faccio festa"?

domenica 13 luglio 2014

Alice ha passato tutti i mondiali di calcio in preda al panico. Ad ogni partita si rifugiava tremabonda sul divano, con la solita faccia da cane bastonato che la contraddistingue. La prima volta non avevo collegato la tensione alla partita, pensavo fosse spaventata dal maltempo (con lei potrebbe essere anche una foglia secca che fa croc, vai a sapere). Solo quando me la sono trovata nel letto, con le chiappe sul mio cuscino, ho iniziato a sospettare qualcosa. Non osa mai salire di sopra, le camere da letto sono il regno dei gatti e lei se la fa sotto solo al pensiero. Per di più su c'è il tanto temuto bagno dove ogni tanto - stesi dalla puzza - la laviamo. Per superare il timor panico e salire lo stesso deve succedere qualcosa di grosso, di solito i botti a Capodanno. Vabbè, in effetti finché ha giocato l'Olanda qualche botto si sentiva, ci poteva anche stare. Ma questa sera che giocano Germania e Argentina, si può sapere ad Alice che gliene frega?
Me la sono ritrovata in braccio. Dimentica della stazza (e del fatto che pesa una ventina di chili) si è accucciata sulle mia ginocchia come un gigantesco orso ingombrante. Cosa non darei ogni tanto per riuscire a capire cosa le passa per la testa...

mercoledì 2 luglio 2014

Avanti a testa bassa come un mulo. Lavoro scuola lavoro compiti lavoro casa lavoro scuola. Ogni tanto alzo lo sguardo e saluto un pezzo di famiglia, ma per il resto tiro dritta. Ho ancora due settimane di tempo per finire quel che devo consegnare a scuola, che non è poco. Esco da turni di notte per mettermi al computer, finisco di lavorare, faccio una spesina al volo e mi rimetto dietro al computer.
Poi però telefona zia. E' un po' che la volevo chiamare per far due chiacchiere, come si fa sempre, ma sono rimasta indietro di una decina di giorni. Appena sento la sua voce per un nanosecondo penso "ora non ho tempo" e il nanosecondo successivo registro il suo tono e chiedo: "Cos'è successo?" "Eh - sospira - è morta Mamì". Mamì? Non dire cazzate, non è possibile.
Perché poi non dovrebbe essere possibile morire a ottant'anni, con il cuore balengo, il diabete e una serie infinita di acciacchi non è chiaro. Anzi, è chiarissimo. Non è possibile perché non voglio, tutto qui. Mamì è la mia infanzia; io vado lemme lemme per i cinquanta e dovrei ben aver fatto pace con l'idea che non sono più una bambina. Anzi, ho fatto una fatica boia a scrollarmi di dosso la posizione di "piccola". Però Mamì era la prova provata che quando voglio posso tornare indietro. Entrare in gelateria, berci un caffè insieme facendo due chiacchiere, ritrovarmi nello stesso identico posto dove zia mi lasciava mentre andava a fare la spesa quando ero un nano. Un po' stavo tra i piedi a Mamì dietro al bancone, un po' andavo a rompere a Costantino sul retro mentre lui preparava i gelati. Un profumo inconfondibile che a me dice una cosa sola: sono felice.
Ora Mamì se n'è andata e io sono a centinaia di chilometri di distanza e non posso neanche andare al suo funerale. Non dico niente di tutto lo smottamento di emozioni che scatta ogni volta che succede qualcosa a zia, con relativo romanzo di legami sentimenti ricordi che ha lei come figura principale. Però ora mi fermo. Per Mamì, per Costantino, per zia, per me. Mi metto in balcone a guardare l'acqua e le canne mosse dal vento e il computer dovrà aspettare.