domenica 12 aprile 2015

Il dottore mi ha prescritto la corsa per combattere la bronchite. "Devi essere la 'bulla' dei tuoi polmoni." Dottore, ma è sicuro? Ma un bel trapianto, no?
Decido di ingaggiare un personal trainer. Già la parola mi fa venire i conati, ma visto che ho bisogno di qualcuno che fisicamente mi venga a prendere a casa e mi trascini nel bosco ad allenarmi, altre soluzioni non mi sono venute in mente. Cerco su Google, trovo un bel sito, sembra gente seria.
Prendo appuntamento con tale Patrick. Mi ritrovo davanti il tizio del Miglio Verde. Un cristone gigantesco, nero come la pece, una fascio di muscoli che parla. Sorprendentemente, parla con voce molto delicata e ha modi gentili. Deve essere abituato a donne sovrappeso di mezza età che razionalmente sanno di dover fare del movimento ma che urlano con ogni cellula che no, la corsa proprio no. Motiva, blandisce, spiega, incoraggia, si bilancia su una sottilissima corda tra il benevolo e il severo. Più che un personal trainer, un fine psicologo. Ribatto ad ogni sua parola ma non si scoraggia. Ha la pazienza di un santo. Io smoccolo, polemizzo, recalcitro ma intanto corro. Corro e non muoio. Corro e non penso solo a quando potrò ripiombare sul divano. Corro e succede un mezzo miracolo.
Per errore mi scappa una mezza endorfina e per un attimo. giusto un nanosecondo, prendo il ritmo e mi dimentico di cosa sto facendo. Corro e basta. Non penso, non mi godo il bosco, non calibro il respiro, il cervello non mi frulla per nulla. Non funziona proprio. Non so di preciso dove sia, ma non con me.
Sarà questo il bello della corsa di cui tanto parlano gli appassionati? Ma alla fine succederà più di un nanosecondo di fila? Perché diciamocelo, non esiste attività più insensata di quella di mettere un piede avanti all'altro senza scopo alcuno. Non vai da nessuna parte, non hai mete, non hai niente di interessante da andare a scoprire. Ti muovi e basta. Non ha senso. Che almeno porti all'illuminazione.

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