martedì 26 febbraio 2013

Essere nevrotici funziona così: hai una vita tranquilla, fai un lavoro che ti piace ma non ti prende troppo tempo, riesci a star dietro alla casa e alla famiglia, hai dei ritmi abbastanza rilassati. Sdraiata mollemente sul divano per delle ore non ci stai, perché non riesci a star ferma per troppo tempo, però riempi le giornate senza stress eccessivo. Non ti fermi ma non ti rincorri nemmeno.
Poi ti viene data l'occasione di lavorare un po' di più e ne sei felice. Lavori spesso nei fine settimana o durante le vacanze, vedi la famiglia magari un po' meno, ma ancora riesci a combinare tutto e già sogni le pazzie che farai con il tuo lauto stipendio (pigiama nuovo, aspettami).
Poi ti viene la bella pensata che visto che hai del tempo libero sarebbe bello seguire dei corsi universitari online su argomenti che ti hanno sempre affascinato pur non capendoci un tubo. Così programmi due corsi, uno di fisica e uno di fisiologia, pensando che smuovere un  po' le cellule grigie non può che farti bene.
E poi ovviamente tutto si accartoccia. Il tuo planning scientifico viene scompigliato dalle università che cambiano le date di inizio dei corsi, che ora si vanno a sovrapporre. Lavorare su turni senza orari precisi ti manda in confusione, tanto da prendere appuntamenti che poi non riesci a rispettare o scoprire che devi essere al lavoro tra un'ora quando per caso getti un'occhiata sul calendario in cucina sorseggiando un tè.
Torna la sensazione tanto conosciuta di non riuscire a star dietro a tutto, pensi al lavoro mentre studi, alla lista della spesa mentre sei al lavoro, cerchi di incastrare gli appuntamenti delle amiche delle figlie mentre dallo schermo del tuo computer una compita professoressa cerca di spiegarti la pompa sodio-potassio aptasi.
E tutto questo perché? Perché te la sei andata a cercare. E come mai te le sei andata a cercare? Perché sei una nevrotica incapace di trovar pace.

venerdì 22 febbraio 2013

Eppure mi ricordo di averlo letto da qualche parte. Ora non riesco a supportarlo con niente di scientifico, ma da giorni mi gira per la testa questa raccomandazione tramandata dagli indiani d'America: quando ti metti in viaggio, dopo qualche giorno mettiti seduto e aspetta che la tua anima ti raggiunga.
Ora, non so tecnicamente quanto tempo la mia anima abbia deciso di prendersi per raggiungermi. La vita qui all'Aja è molto più rosea del previsto e se solo osassi lamentarmi credo che il cielo mi fulminerebbe all'istante. Ormai siamo qui da otto mesi buoni, sarà mica ora che il mio cuore si decida a lasciarsi Bologna alle spalle?

giovedì 21 febbraio 2013

No, no, la tecnologia è bella. Semplifica la vita, accorcia le distanze, tutto bene.
Però non dimentichiamo che sono nata prima che facesse parte della nostra esistenza, ancora mandavo lettere di carta e telefonavo all'amato una volta a settimana da una cabina telefonica con la scheda. Bisogna crescere insieme alla vita che si evolve, ma non bisogna neanche pretendere troppo...
Piscina ultramoderna, bella cosa. Mi cambio, mi avvicino agli armadietti con la mia monetina e il mio fagotto di vestiti e gli sportelli non hanno serrature. Sono bianchi, scintillanti, lisci come l'olio. Hanno solo inciso un numero sopra. Mi guardo un po' attorno e vedo uno schermo tipo quelli dei bancomat. Mi avvicino e cerco di capire. Schiaccio qualche pulsante, mi muovo a tentativi e alla fine capisco che va così: clicchi sullo schermo per richiedere un nuovo sportello. Il computer ti chiede di entrare un codice pin. Per sicurezza uso lo stesso del bancomat, conscia dei tristi limiti della mia memoria. Lo schermo ti chiede una monetina, tu la metti dentro e lui ti risponde con il numero del tuo sportello. 401. Mi giro e vedo che si è magicamente aperto da solo. Caccio dentro la mia roba, terrorizzata. Ho buone speranze di ricordarmi il codice per riaprire il tutto, ma ho la certezza di dimenticare all'istante il numero dello sportello. Un po' perché la mia memoria è pateticamente nulla, un po' perché più una cosa è importante da ricordare, meno il mio cervello collabora. 401. 401. 401. Vado a fare la doccia. 401. Entro in acqua. 401. Ogni bracciata ha un numero. 401. 
Alla fine ce l'ho fatta. Ho inserito il mio pin, lo sportello si è riaperto da solo, ho ripreso la mia roba. Però gli effetti benefici dell'acqua vanno a farsi benedire in questo modo. La prossima volta mi scrivo il numero su una mano con un pennarello indelebile.

martedì 12 febbraio 2013

Sono le cinque di sera e c'è ancora un mucchio di luce! Oh yeah, stiamo andando nella direzione giusta.

lunedì 11 febbraio 2013

Che debacle.
Anche oggi piscina. Fino ad ora ero andata in una piscina in un paesino qua vicino, picinìn, molto pittoresca. Una piscina normale per persone normali, vasche da 25 metri da percorrere a ritmi umani. Mi sentivo quasi in forma.
Questa mattina ho pensato bene di andare alla piscina olimpica che hanno aperto da poco qui vicino a casa. La vedi letteralmente dal liceo di Martine, ci si arriva in un attimo. Nuova, scintillante, pulitissima. Il concetto di 'olimpica' però non si è fatto carne fino a che non mi sono trovata in acqua. A un certo punto ho alzato gli occhi, convinta di essere arrivata, e sono rimasta imbambolata. Ero a metà strada. Primo pensiero "Oh, cazzo." Secondo pensiero "Adesso affogo. Sento il cibo che torna su, svengo, se vado giù ci sarà un bagnino da qualche parte, oddio il tizio dietro di me sta arrivando come un siluro." Terzo pensiero "Boccadoro, datti una calmata. Da quando in qua non ti senti a tuo agio in acqua, riprenditi." Quarto pensiero "Bon, continuiamo a nuotare".
La piscina era divisa in corsie, tre per sole vasche e il resto stipato da gente che nuotava beata a cagnolino, riuscendo anche a non disfarsi la piega e chiacchierando amabilmente con chi gli stava accanto. Ho cercato di tirar dritta con le vasche. Peccato che le mie corsie fossero piene di androidi in forma fisica splendente, che vedevo sfrecciare avanti e indietro mentre io conquistavo faticosamente prima una sponda e poi l'altra, regalandomi la netta sensazione di essere una mozzarella galleggiante che impiccia chi va lì a nuotare per davvero.
Mi sono spostata nelle corsie più da relax, ma in effetti i ritmi erano troppo polleggiati anche per me. Alla fine sono andata a farmi la doccia, totalmente sconfitta. Avvolta dal mio bel costume rosso squillante mi sentivo un Gabibbo fuori forma.
Ora mi si aprono due strade. A): continuo ad andare a nuotare e prima o poi rileggo questo post sorridendo del budino che ero. B): gliela do su.
A giudicare dalla cofana di pasta che mi sono sbafata al rientro, seguita dal rotolo di biscotti al cioccolato - un classico da frustrazione - temo che sia la seconda che ho detto.