venerdì 28 dicembre 2012

Ok, questa però è seria. Non so perché mi viene da scriverlo proprio ora, non c'è nessun motivo particolare. Comunque comunico al mondo (ossia ai miei due lettori fedeli, che son parenti e poi magari spargono la voce) che questo vale come testamento biologico. Purtroppo non ha alcun valore legale, però facciamo che vale lo stesso. Mai e poi mai per nessuna ragione al mondo voglio rimanere attaccata a una macchina. Neanche se poi c'è la lontanissima speranza che prima o poi mi risvegli (che se passan degli anni è meglio per tutti se non succede). Neanche se qualcuno dice che sembro lontana ma in realtà sento tutto e sono cosciente di ciò che mi accade attorno. Capace pure che sia così, ma tanto non posso comunicare con nessuno quindi per me non vale la pena restare.
E soprattutto, state allegri. Io sinceramente mi sveglio tutte le mattine pensando di aver vinto la lotteria solo per quello. Dopo l'esperienza di papà e la morte di Paolo non ho pensato più neanche per un minuto che la vita mi sia dovuta, né che sia tale e tanta da poter sprecare dei giorni a lagnarsi. Infatti poi me li sono goduti tutti tutti. In tutta sincerità, ho intenzione di godermene ancora parecchi, ma non sta a me decidere. Quindi qualunque cosa succeda, mi raccomando: niente accanimento, buttate via le mie ceneri da qualche parte e continuate in allegria godendovela anche per me.
P.S. Scommetto qualsiasi cosa che questo post farà incazzare il marito, che di certi argomenti non vuol sentir parlare neanche per scherzo. Hi hi hi.

giovedì 27 dicembre 2012

Missione compiuta...al 90 per cento.
Passato il bel natale in famiglia, santo Stefano dai parenti, la bronchite dal tempismo perfetto, i turni da incubo al lavoro, oggi giornata di stralusso. Le ragazze sono rimaste dai nonni e noi ci siamo goduti una giornata a due. Da bravi giovani vibranti qual siamo, l'abbiamo passata seduti sul divano immersi nella lettura, sorseggiando un bel tè caldo. Fuori pioveva alla grande, il che aumenta la goduria da divano-bevanda calda a livello esponenziale. Come ciliegina sulla torta, per la sera abbiamo prenotato il ristorante indonesiano del tentativo fallito di un paio di mesi fa.
Tutte le stelle si sono allineate: una volta usciti per andare al ristorante ha smesso di piovere e noi ci siamo ritrovati immersi in una Delft che si può definire magica e non si esagera nemmeno. Già è bella di suo, di sera poi con tutti gli alberi con le lucine natalizie, le torri delle chiese illuminate, le luminarie lungo i canali toglie il fiato. Ci siamo incamminati felici al ristorantino e abbiamo trovato un posto molto elegante, accogliente e con dell'ottimo cibo. Troppa grazia.
In effetti... Il tempo di metterci comodi a fare due chiacchiere davanti a tutto quel ben di dio che squilla il telefono. Martine ci avverte che Chiara non si sente bene, la piccola viene al telefono in lacrime dicendo che ha mal di testa mal di pancia e quando andiamo a prenderla. Parliamo un po' con le ragazze, chiediamo a nonna di darci un quadro più oggettivo della situazione, mettiamo giù. Riusciamo a goderci la nostra cena eppure da qualche parte sulla nostra testa aleggia 'sta nuvoletta della figlia indisposta. Inoltre la grande - ipertecnologica come tutti i ragazzini moderni - non manca di mandarci messaggini ricchi di dettagli non richiesti. "Chiara sta vomitando l'anima". E tu con il tuo boccone a mezz'aria a pensare "Buono a sapersi. Tanto sono solo a ottanta chilometri di distanza, aspetta che vengo a dare una mano".
Tempo di finire la cena che arriva l'ultimo messaggio: "Chiara sta bene, ora dorme". Col marito siamo scoppiati a ridere come due scemi. Anche a distanza e durante l'unica ora al ristorante dopo anni (letteralmente) che non ci riusciva di goderci una cenetta tranquilla 'sti figli riescono a rompere i cabasisi. Non ci si crede.

venerdì 21 dicembre 2012

Chiara frequenta una scuola confessionale, protestante. Da quanto ho capito la cosa si manifesta con una preghiera prima di pranzo. Prima di iscriverla abbiamo informato la scuola che noi siamo atei, se a loro andava bene così a noi andava bene la scuola protestante. Nessun problema.
Ieri recita natalizia. Due considerazioni: memore delle ore passate alle elementari prima di Martine e poi di Chiara a sorbirci ore e ore di canti, recite e balli non ci è sembrato vero che qui si organizzassero in modo diverso. Ogni bambino ha portato qualcosa da mangiare e verso le sei di pomeriggio si sono trovati in classe per cenare insieme (i genitori fuori dai piedi). Alle sette ci è stata concessa udienza, i bimbi hanno cantato UNA canzone (cinque minuti scarsi), abbiamo ripulito la classe e siam venuti via. Tra andata, cantata e ritorno saranno passati venti minuti. Fantastico.
Ascoltandoli cantare mi è venuta in mente un'altra considerazione confortante. Non so quanti protestanti veri e propri ci siano nella classe di Chiara. La maggior parte dei suoi compagni è musulmana, qualcuno è cattolico, altri ancora non professano nulla come noi. Eppure tutti i bimbi erano lì a cantare la buona novella della nascita del Signore. Nessuno che abbia fatto una piega. I bimbi musulmani cantavano insieme a tutti gli altri e nessun genitore si è messo a fare storie. Se li mandi ad una scuola confessionale, lo sai e non ti agiti. Il che mi ha fatto pensare che con un minimo di buonsenso si convive tutti serenamente. Poi ho pensato che sarebbe bello fosse così anche da noi. Se mandi tuo figlio ad una scuola pubblica (quindi organizzata da uno stato laico), non rompi a nessuno se non ci sono crocefissi in classe, se a natale si fa l'albero e non il presepe e balle varie.
Illusa?

venerdì 14 dicembre 2012

Albero di natale: check
Cappelletti: check
Crostini: check
Panettone: check
Improbabili decorazioni alle finestre: check
Torroni: check
Regali occultati in ogni angolo: check
Tovaglia storica fatta a uncinetto dalla nonna: linda e profumata.

Quest'anno per la prima volta festeggiamo il natale da soli. Di solito andavamo a Milano il 24 pomeriggio per i regali e ci fermavamo il 25 per mangiare i cappelletti in famiglia (a parte uno o due natali passati dai nonni olandesi). Ora non possiamo ancora permetterci di viaggiare e ai nonni olandesi basta e avanza Santo Stefano, visto che non hanno mai festeggiato il natale con passione.
Ho passato le ultime settimane a caccia di regali e decorazioni. Ieri per poter fare la pasta fresca sono andata in un negozietto di specialità italiane all'altro capo della città: due ore fra andata a ritorno per conquistare un trolley di farina (sono andata letteralmente con la valigia e tornata con un approvvigionamento degno di un esercito). Ho trovato anche pandori e panettoni a prezzi astronomici, ma il primo natale senza famiglia allargata non deve essere carente in nulla.
Così il 25 mattina ci svegliamo e troviamo una bella montagnetta di regali sotto l'albero (parlo al plurale, ma intendo più le figlie che altro), facciamo un bel pranzo natalizio seguendo un menù classico e mentre il caro marito e le dolci fanciulle si schiantano sul divano a boccheggiare e a guardarsi un bel film io inforco la bici e vado al lavoro.
Peccato essere atei, chissà quanti punti avrei guadagnato a occuparmi dei più deboli proprio il giorno di natale.

venerdì 23 novembre 2012

Credo che metterò in discussione il termine 'disabile'. Mi è stato gentilmente suggerito da un'amica che era sobbalzata alla parola handicappato e ho preso ad utilizzarla in nome del politically correct. Però secondo me è una parola che non funziona.
Lavoro presso due strutture diverse, una per ragazzi severamente handicappati e una per ragazzi autistici o con la sindrome di Down che conducono una vita abbastanza indipendente. Ieri sera ero alla casa di accoglienza con i ragazzi autistici e stando a tavola tutti insieme mi sono resa conto che non hanno niente di dis-abile. Anzi, sono parecchio abili. Lavorano, si prendono cura di sé, cucinano. Stanno a tavola tutti insieme come una famiglia molto più funzionale di tante altre 'normali'. Si raccontano la giornata, si prendono per i fondelli uno con l'altro, chiacchierano. Poi vanno a farsi una bella doccia e si guardano tutti insieme l'unica telenovela olandese che va avanti imperterrita da più di vent'anni e inchioda milioni di sudditi della regina davanti alla tv tutte le sere. E' ovvio che dietro a un tale idillio di collaborazione c'è un lavoro di anni. Però alla fine tutto vedo tranne che gente incapace o, appunto, disabile.
Non mi piace manco il 'diversamente abile'. I ragazzi danno un nome preciso alla loro diversità, usano il termine medico. Però son nomi generalmente sconosciuti a noi comuni mortali. Mah, mi farò venire in mente qualche alternativa.

lunedì 5 novembre 2012

Quando si dice il caldo supporto della famiglia.

Racconto alle ragazze del mio entusiasmo per il possibile nuovo lavoro, sabato vado a fare una prova presso un centro per disabili qui vicino. La prima reazione di Chiara è stata: "Ah, finalmente vai a lavorare, così posso tornare a casa da scuola da sola". Prego? Ti abbiamo dato le chiavi di casa il secondo giorno di scuola, puoi tornare da sola quando vuoi, just say the word. "....Bè, questa settimana ancora mi porti e mi vieni a prendere, poi magari da quella dopo ci penso". Allora sono io che ti tarpo le ali o sei tu che rompi??

Martine è stata ancora più bella. Beata come un'oca mi ha detto: "Bè, sarebbe bello. Trovi questo lavoretto e guadagni qualcosina".

Lavoretto. Qualcosina. In pratica mia figlia quattordicenne ha fatto pat pat al lavoro dei miei sogni.

giovedì 1 novembre 2012

Qualcuno ha caricato su Facebook una vecchia intervista al fratello musicista, che io ho sentito oggi per la prima volta. A parte l'ovvio misto di stupore e ammirazione al trovare il fratello in questione che disquisisce di cose astruse rendendole semplici anche ai più duri di comprendonio (vedi sotto la voce: sorella), sentirlo parlare ha quagliato pensieri che mi ronzavano per la testa da giorni senza trovare le parole per uscire. A un certo punto ha citato Brecht che dice "Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore". Eccomi qua.
Da quando sono arrivata è stato importante trovare lavoro, ma il cercarlo mi ha costretto a farmi parecchie domande. Cosa fare? Qualcosa "al mio livello"? Vantaggio: un buono stipendio. Svantaggio: meno tempo per la famiglia e ritorno ad uno stress conosciuto fin troppo bene in passato. Qualcosa di più banale e part-time? A parte l'annientamento della materia grigia, ho trovato solo dinieghi perché "potevo fare molto di più". Far tesoro delle esperienze passate e metterle a frutto partendo con una nuova avventura in proprio? Certamente avere un'attività propria qui in Olanda è più semplice che in Italia, ma senza un'idea di base 'ndo vado.
Piano piano dalla lussuosa nebbia delle troppe possibilità si è fatta strada la mia vocina interiore a darmi sempre la stessa risposta: tu vuoi tornare a lavorare con i disabili. L'ho fatto tanti anni fa e ho amato questo lavoro con una ferocia che sinceramente non merita. Ai tempi una collega mi aveva detto: "Tu che hai studiato, vai a fare qualcos'altro. Questo è un non-lavoro." In effetti è così. Non c'è nulla di nobile o romantico ad occuparsi di disabili. Capivo la collega, così come capivo il marito parecchio allibito all'idea che rassettare una casa non mia o aiutare gente a farsi la doccia potesse darmi soddisfazione. Ma la realtà è una sola: mi piace sul serio.
Allora si è fatta strada questa idea folle di ricominciare dallo zero più assoluto alla giovane età di 45 anni. Tornare a fare un lavoro umile, che non differisce molto da quello che già fai a casa tua, e piano piano rimettersi a studiare e crescere in una professione nuova.
L'insistenza della vocina mi ha ovviamente portato a chiedermi perché ci tengo tanto a fare un lavoro simile. La risposta che mi sono data è: perché mi assomiglia. Lavorare in una struttura per disabili è come stare a casa propria. Lucia al lavoro non è diversa da quella "vera". Posso girare in jeans e maglietta invece di "vestirmi da cliente" come ho fatto per anni. Non passo ore dietro a un computer. Uso le mani per lavorare. Non devo badare alla diplomazia o a strategie di carriera, anzi, lavorerei in un ambiente piuttosto ruspante. Nessuna differenza tra quello che sono e quello che faccio.
La mia decrescita felice.

sabato 13 ottobre 2012

Dice il saggio: se vuoi far ridere Dio, raccontale i tuoi piani.
I nostri erano molto semplici: dopo quasi due anni che non ci riusciva, volevamo andare a mangiar fuori da soli. Abbiamo prenotato un delizioso ristorante indonesiano a Delft e - da bravi olandesi per bene - stilato un piano a prova di bomba. Alle cinque si portano le ragazze a dormire da alcune amiche, alle sette siamo al ristorante, ora delle nove siamo tornati per portare fuori il cane et voilà.
Tutti contenti (e tirati a lucido) ieri pomeriggio usciamo per portare le ragazze da un'amica storica che abita a 60 km da qui. Mi tiro la porta alle spalle, faccio per chiuderla a chiave ma la chiave non entra. Gulp. Ci riprovo, non va. Ci metto poco ad avere un flash e chiedere al marito con la voce più monocorde possibile "Amore, hai per caso lasciato le chiavi nella serratura?" No, ma quando mai, io? Figurati, non le lascio mai infilate nella porta. Fammi pensare, forse... Sì, sono infilate nella porta. Dopo vari tentativi falliti di far cadere la chiave all'interno, decidiamo di portare le ragazze dalle amiche e chiamare un fabbro al rientro.
Andata: due ore di macchina per coprire quei benedetti sessanta chilometri. Ci troviamo imbottigliati in autostrada non per uno, ma per due incidenti. Un po' intristiti, chiamiamo il ristorante e disdiciamo la prenotazione. Dopo un viaggio che non sembrava finire mai arriviamo dall'amica, lasciamo le piccole, salutiamo tutti ciao ciao e ci rimettiamo in macchina. Al rientro ci becchiamo un altro incidente e passiamo un'altra ora e mezza nel traffico.
Nel frattempo telefoniamo al fabbro per chiedere quanto tempo ci può mettere a venire ad aprirci la porta. "Mando il tecnico fra le nove e le dieci". Visto come è girata la nostra seratina romantica, ovviamente il tecnico si presenta alle dieci meno uno. Due minuti e 85 euro più tardi siamo in casa. Giretto col cane (freddo porco), cena riscaldata e mangiata sul divano, nanna.
Ora aspettiamo un altro paio d'anni e poi ci riproviamo. Ristorantino indonesiano, aspettaci!

giovedì 11 ottobre 2012

Chiara sta a casa da scuola per un paio di giorni, gira un virus influenzale. Passo da scuola e chiedo alla maestra come funziona, perché non abbiamo ancora un libretto delle giustificazioni.  "Un cosa?" Un libretto delle giustificazioni, rispondo un po' spiazzata. "Ah, e che cos'è?" Cerco di spiegarglielo ma già mentre mi sento parlare un libretto simile non ha più senso. "Mah, si scrive una giustifica e si spiega perché la bambina non è venuta a scuola". "Era malata, hai chiamato lunedì per dircelo". ... "Giusto, ma da noi bisogna compilare un foglietto e firmarlo per richiederne l'ammissione a scuola". Mi guarda e non capisce. Ci pensa un po' e poi dice "No, da noi non si usa, Chiara torna semplicemente a scuola".
In effetti, perché no ?

domenica 9 settembre 2012

Il 12 settembre l'Olanda va alle urne. La campagna elettorale è iniziata tre (!!) settimane fa. Si seguono i dibattiti in tv, la gente si attacca in televisione e poi si beve un bel caffè insieme, tutto molto civile e ordinato, come ci si aspetterebbe in un paese come questo. Lungo la strada si vedono cartelloni elettorali che farebbero invidia a uno svizzero, come dice Ed. Squadrati, ordinati, fatti col righello.
Un altro dogma infranto: il 12 settembre è un mercoledì. Mezzo scandalizzata dico al marito: ma votate di mercoledì? Si vota nel fine settimana!
Perché? mi chiede lui. Ehum, perché la gente deve andare a lavorare. "Allora voti prima di andarci, o dopo il lavoro". Eh, ma...sì, in effetti. Ma non avete un giorno e mezzo a disposizione, come noi? No, che ci metti ad andare a votare, non ci vuole mica un giorno e mezzo.
La scuola della piccola è seggio elettorale. Traduzione: la palestra della scuola della piccola è seggio elettorale. Non solo le scuole non chiudono il giovedì per iniziare ad allestire i seggi e il lunedì successivo alle elezioni per smontarli, le lezioni proprio non fanno una piega. Per un giorno ci sarà semplicemente un po' più di gente che va e viene dalla palestra.
Per essere strani son strani, ma per certi versi bisogna ammirare 'sti crucchi. Vivere in una macchina ben oleata immagino possa sembrare soffocante per gli spiriti più liberi e ribelli, ma per ora a me sembra solo molto semplice.

sabato 8 settembre 2012

Questa non l'avevo calcolata. Siamo venuti a vivere in un posto che non conoscevamo ed è stata una bella sorpresa. Ci piace l'ambiente, la gente, le scuole delle ragazze sono fenomenali, la vita iper-organizzata di questi strani crucchi rende l'esistenza molto più semplice di quella vissuta in Italia.
Quello che non avevo calcolato è che qui non devo solo ricostruire una vita da un punto di vista pratico (dove sono i negozi? come si trova un dottore? dov'è il veterinario? come funziona il rapporto scuola-famiglia?); devo anche ricostruirmi un'identità. A Bologna ero quella che chiamavi quando ti serviva una traduzione, quella che lavorava da casa e che poteva tenere i bambini altrui se qualche mamma aveva bisogno. Ero l'amica con la quale mangiarsi una pizza e fare due chiacchiere. La vicina di casa sulla quale fare affidamento, la nipote da chiamare se c'era da andare in ospedale, la "capa" un po' anomala.
Ora, so che è di una banalità sconfortante, ma qui devo ricostruire tutto. Il che mi fa pensare a cosa faccia di me, me. Intendo dire: se domani vado a raccogliere pomodori per pagare le bollette, quanto il mio essere una raccoglitrice di pomodori mi definisce? Dentro posso anche essere la traduttrice libera professionista mamma amica ma vista da fuori raccolgo pomodori. Fino a che punto quello che gli altri vedono e giudicano influenza chi sono realmente? Quanto mi piaceva essere la persona che veniva in mente se qualcuno aveva bisogno di qualcosa e fino a che punto il non esserlo più cambia la mia percezione di me stessa?
Il fatto è che sono tutto e nulla. So fare di tutto un po'; se mi metti a trattare con dei clienti so fare quello, se mi detti a portare avanti un'aziendina ce la faccio, se domani dovessi lavorare ad una catena di montaggio me la caverei. Non sono definita da una passione unica. Cosa fai? Sono una musicista. Sono un agente commerciale. Sono un'imprenditrice. Io non "sono" nulla. So fare tante cose ma tutte un po' così, imparate per esperienza, non perché fossero la passione della mia vita. Quindi per forza di cosa quello che faccio definisce un po' anche chi sono. E ora che mi ritrovo a dover ricominciare da capo mi tocca chiedermi: sì, ma chi sono? Cosa cerco?
E' un filino sconcertante che la risposta sia: boh.

sabato 1 settembre 2012

Abbiamo una figlia liceale. La cosa sinceramente mi fa un po' impressione.
Martine ha iniziato il liceo (passando direttamente in seconda in base all'età) e nel giro di tre giorni è cresciuta. L'essere liceale la galvanizza da matti. L'aver affrontato il terrore di una nuova scuola, in una lingua non del tutto 'sicura', con un sistema molto diverso da quello che conosceva e non aver trovato grandi difficoltà la rende - giustamente - molto orgogliosa. E' passata dal mal di pancia dovuto alla paura di non trovare l'aula, di non fare amicizia con nessuno, di non sapere come muoversi al passare pomeriggi con le nuove amiche, muoversi con una certa dimestichezza in questo edificio enorme che ricorda un college americano e andare e venire da sola con la sua bella bicicletta.
Ieri sera prima festa 'disco' della sua vita. Dalle otto alle undici a scuola con tutte le prime e le seconde a ballare come dei matti. Ha danzato per tre ore di fila ("due con le scarpe da tennis e una con i tacchi"), non ha mai smesso di strillare con le amiche e dimenarsi. E' tornata a casa con le orecchie che le fischiavano e senza voce, felice come una pasqua. Un bel battesimo per la nostra 'grande'! 
Prima riunione alla scuola di Chiara. Tutto bene, ci hanno spiegato il programma (nei minimi particolari), i metodi di studio, i vari test che fanno durante l'anno. Sono riuscita a mantenere un contegno serio e concentrato anche quando ci hanno spiegato che se vediamo che i nostri preziosi figliuoli hanno una calligrafia da gallina possiamo tranquillamente rivolgerci alla fisioterapista convenzionata con la scuola, che non mancherà di darci i dovuti consigli per risolvere la cosa (e nel frattempo una vocina dentro di me strillava "Ma siete normali?????")
All'uscita mi sono fermata a chiacchierare con due genitori di Pescara. E qui viene il clou della serata.

Premetto che ognuno nella propria vita fa quello che gli pare. E fin qui va bene. Ma io vorrei sapere perché cacchio il Padreterno continua a lanciarmi dei pazzi sul cammino. Lascio a Bologna una mamma ciellina che per anni ha cercato di farmi vedere la luce e trascinarmi in udienza dal Papa ("Ma mi hai visto?") e mi ritrovo davanti due che abitano qui da SETTE anni e cosa fanno nella vita? Testimoniano la possibilità di vivere come una famiglia cristiana. Così me l'hanno spiegata. Sono qui da sette anni, ancora non parlano la lingua (né l'inglese, come cazzo fanno a campare non lo so), hanno sei figli e "testimoniano". Sempre con la faccia seria e concentrata di prima li ascolto mentre mi dicono della loro missione, delle difficoltà incontrate e intanto penso: "Sì, ma un lavoro non ce l'hai? Come diavolo paghi le bollette?" Non l'ho capito.

Tornando a casa in bicicletta in realtà mi si è un pochino stretto il cuore per loro. Per uno che vive con convinzione nella luce del cristianesimo ("In pratica, Lucia, sono qui per dirti che Dio c'è". E sono stata un mago a trattenermi dal dire "Eh...sì... mò me lo segno" stile Troisi in 'Non ci resta che piangere'), l'Olanda deve essere in assoluto il posto più allucinante dove poteva capitare. Con tutta 'sta gente che si sposa persone dello stesso sesso, che non si sposa proprio ma ha figli di mille nazionalità diverse, musulmani atei hindu, altro che Sodoma e Gomorra. Immagino solo lo sconforto che li deve prendere.

Ora, io ormai nella vita ho imparato a non escludere nulla. Se il creatore mi vuole sa dove trovarmi e non posso escludere che da qui a che non crepo in effetti veda 'sta benedetta luce e mi converta. Certo che però ha bisogno di attuare una campagna marketing più mirata, perché in questo modo mi convinco sempre di più che una bel lanciafiamme ogni tanto, usato con misura, non possa che far bene.

domenica 26 agosto 2012

Chiara ha iniziato ad andare a scuola. Quando si dice: un altro mondo. A parte gli orari super rilassati e il fatto che non danno compiti, è la filosofia che c'è dietro al sistema scolastico a spiazzare. Qui la scuola non è un mondo separato dalla famiglia, né tanto meno i due luoghi si danno battaglia.
Seguo con interesse il blog di un giornalista olandese che dopo dieci anni a Roma è rientrato in Olanda proprio a luglio, come noi. Riconosco molte delle sue impressioni nel rientrare in un Paese per certi versi così lontano dall'Italia. Leggendo il suo post di oggi, dove parlava del primo giorno di scuola olandese delle sue tre figlie, mi ha colpito moltissimo una frase: "Abbiamo potuto addirittura entrare in classe con nostra figlia e rimanere un po' con lei. In Italia il bidello tiene i genitori fuori dai cancelli della scuola pubblica. Le scuole sono dei fortini che sembrano voler proteggere l'educazione dei giovani dall'influenza negativa dei genitori. La diffidenza tra genitori e scuola è molto grande".
Mi ci sono ritrovata in pieno. Non tanto per il primo giorno di scuola dove puoi accompagnare tua figlia in classe, quello l'abbiamo fatto anche noi. Quanto per il concetto che tu come genitore sei il nemico e le maestre a scuola creano un mondo il più possibile diverso da casa. Nello specifico una delle maestre di Chiara non ha mai fatto mistero del suo disprezzo e della sua ostilità per tutto quello che non seguiva i suoi dettami. Ricordo addirittura delle sgridate per come educavo mia figlia, le raccomandazioni su cosa dire (e soprattutto NON dire) a Chiara quando era malata e via dicendo. Tu come genitore avevi un solo compito nella vita: tacere.
A parte che il clima rilassato ovviamente tranquillizza la figlia, che così impara con più gioia (un concetto piuttosto semplice che non sono mai riuscita a far passare alla maestra italiana), mi piace molto il fatto che tra scuola e casa il passaggio non abbia praticamente gradini. Un momento sei a casa, un momento sei a scuola, ma non sono due mondi separati. Forse dipende anche dal fatto che fisicamente non ci si attrezza ad andare a scuola come se ogni volta si partisse per il militare. I libri, i quaderni, l'astuccio e tutto l'armamentario rimangono in classe. Si entra e si esce con una borsa giusto per portare il pranzo e la merenda. E tutti sono liberi di portare quello che più li aggrada, chi la borsetta chic per imitare la mamma elegante, chi uno zainetto bucato, chi una tracolla colorata. Nessuno che pensi anche un secondo a vedere come ti vesti o cosa ti porti. Sono tutti variegati. Se tua madre porta un velo sulla testa o un paio di jeans, se tuo padre è nero come il carbone o più biondo di uno stereotipo, se tu sei indonesiano e tuo fratello no, non fa nessuna differenza. Anzi, le differenze sono tali e tante che alla fine sono la norma e non si vedono più.
Un po' lo stesso concetto che esprimevo parlando della mancanza di barriere tra casa e strada. Ora abbiamo visto che non ci sono neanche barriere tra casa strada e scuola. E' tutto amalgamato nella stessa vita.



mercoledì 22 agosto 2012

Blogger ha cambiato faccia, ha mille funzioni a me sconosciute e incomprensibili. Per caso scopro che incastonate da qualche parte ci sono ancora delle bozze di blog che alla fine non hanno raggiunto la superficie. Ho letto questa e di botto mi sono trovata sul nostro pianerottolo a Bologna. La pubblico per quanti di noi quel pianerottolo lo conoscono, giusto per cedere un attimo alla nostalgia.


Suona il citofono. La figlia grande ha paura di usare l'ascensore, quando torna da scuola la vado a prendere di sotto. Oggi più che mai suona in un momento di abbrutimento totale. Che faccio, scendo così?
Praticamente sono in camicia da notte o poco ci manca. Ho su un vestito da casa a metà tra l'indecente e l'inguardabile. Vabbè, chi vuoi che mi veda. Come unico compromesso questa volta non scendo scalza, mi metto almeno le ciabatte.
Pigio il pulsante dell'ascensore, inizia il calvario. Il nostro condominio è dotato dell'ascensore più lento del mondo. Sono certa che se esistesse una certificazione per la lungaggine del trasporto persone in verticale, arriveremmo primi ad occhi chiusi.
Lo sento un paio di piani sotto. Pling, zzzzzzzz, stock. Si apre. Stock, zzzzzzzz, ping, si richiude. Striscia fino al piano di sopra. Pling, zzzzzz, stock. Voci sul corridoio, colleghi che chiacchierano. Zzzzz, stock, ping, riparte. Arranca fino al nostro piano. Bene, non c'è nessuno, entro così.
Avrei dovuto saperlo. Anzi, era matematico ma ho sottovalutato il rischio lo stesso. Fra il viaggio di andata e l'odissea del ritorno, credo di aver incontrato tutti i condomini e anche un paio di foresti.
La prossima volta giuro che mi metto un paio di braghe e una maglietta prima di salire in ascensore. Anzi, faccio in tempo anche a laccarmi le unghie.

venerdì 10 agosto 2012

Le piccole sono a letto, Ed e io ci guardiamo ancora un po' di Olimpiadi. Alla fine saliamo e in camera di Chiara c'è una puzza di marijuana da far venire le lacrime agli occhi. Penso "Saranno i ragazzi". I nostri vicini sono un gruppo di gggiovani che segue fedelmente il 'manuale del libero studente'. Passano il tempo a bere birra, fumare, preparare barbecue, si godono la vita (e fanno bene). Un bel cannone ci può stare. Chiudo le finestre di Chiara, passo in camera nostra dove ovviamente c'è la stessa puzza. Ridendo dico a Ed "Oh, questa notte si dorme veramente bene dopo questo bel cannone". Mi dice "Parla piano, è la nonnina in balcone, ti sente". Huh? Mi affaccio e vedo la mamma dell'altra vicina di casa in balcone. Una nonnina da fumetto, scura scura (è antilliana) con i capelli grigi e uno scialle color pervinca. Seduta tranquilla si fuma il suo spinello.
E va bene che ormai viviamo in un mondo molto diverso dall'Italia. Qui ci siamo abituati alle macchinette intelligenti, alla burocrazia che non ti è nemica, al vicino che la sera chiama la cicogna nel suo giardino invece di un animale domestico magari un po' più di ordinanza, alla fauna più strana che ti gira attorno. Ma la nonnina che si fuma beata il suo spinello in balcone batte tutto.

sabato 4 agosto 2012

A ciascuno le sue turbe mentali.
Bisogna sapere che ho passato buona parte dei miei anni italiani attaccata a Radio 2, o ascoltando il tg di radio 1 o - aiuto, ora lo ammetto - GR Parlamento. Con l'ipod costantemente appeso ad un orecchio, o con la radio accesa in macchina, ovunque andassi ero accompagnata dalle voci ipnotiche dei vari giornalisti. Tg, notizie, rassegne stampa. Dio, che passione per la rassegna stampa. Non so per quale squilibrio interiore ascoltare questi programmi ha un effetto deliziosamente balsamico sui miei nervi. Mentre non riesco ad ascoltare musica, per radio è una vera grattugia per il mio sistema nervoso. Il massimo della goduria invece era ascoltare Caterpillar la mattina quando portavo a spasso il cane e poi di nuovo la sera mentre cucinavo.
Il marito tecnologico mi ha appena illuminato mostrandomi un'applicazione da scaricare sullo smart phone con la quale si può ascoltare la radio in diretta, olandese americana o italiana che sia. Gioia e gaudio.
Oggi ho parlato con alcune amiche tramite skype, vedendole in video. Ok, non è la stessa cosa che bersi una bella birra insieme, ma devo dire che tutte queste magnificenze tecnologiche accorciano parecchio le distanze. Poi per forza ancora non mi rendo conto di non vivere più in Italia.
Probabilmente me ne renderò conto una volta finita la scorta pressoché inesauribile di polpa di pomodoro Mutti che mi sono portata dietro.
Ridiamo seduti a tavola per la cena, come al solito. Martine racconta che per ogni quindici minuti di risate si guadagna un giorno di vita. Ci pensa su un attimo e aggiunge: "Allora noi siamo immortali."

venerdì 27 luglio 2012

Ah, no ecco, mi pareva.
Mi sembrava strano essere finita in un'Olanda che non conoscevo. Tutti che si salutano per strada, vicini di casa che offrono spontaneamente di mandare il loro giornale a casa tua mentre loro sono in vacanza, porte aperte con gente che va e che viene, sorride, chiacchiera. Gli ultimi anni ad Amsterdam erano stati fortemente marchiati dalla crisi con Ed e il divorzio, questo è ovvio. Tuttavia anche quando tutto andava bene la gente non ti salutava per strada, ma ti guardava come se fossi un insetto fastidioso. Se avessi un centesimo per tutte le volte che ho sentito il binomio "Italiana? Ah, mafiosa" sarei a posto per la vita (e posso solo ringraziare iddio per aver scampato gli anni del bunga bunga...) Non mi sono sognata tutte le volte che ho dovuto tirare fuori l'agenda e prendere appuntamento per far giocare le bambine dalle amiche, una cosa che mi sembrava il pinnacolo dell'inciviltà. Una mia amica che abita da anni da queste parti, lontana da Amsterdam, mi assicurava che qui non era così, che funziona come in Italia "Hai voglia di giocare da me?" e via. Io giravo comunque con i miei ricordi ossidati in preconcetti.
Poi sono finita in questo quartiere gentile e mi sembrava di essere finita su un altro pianeta. Sarà stato anche il bel tempo che ha aiutato, boh, comunque è veramente poco 'olandese', per come ricordavo io l'Olanda.
Oggi sono andata in banca, nella stessa agenzia che sembra una navicella spaziale, dove già ero stata altre volte trovando sempre solo persone di una cortesia sconcertante. Questa volta c'era una signora nuova. Mi chiede un documento e davanti alla mia carta d'identità esclama "Incredibile che girino ancora, sono documenti veramente antichi. La prima volta che ho visto una roba simile ho pensato che il cliente se lo fosse fatto da solo, non è mica normale di questi tempi". Allenata da tanti anni passati qui mi sono morsa la lingua. Intanto lei andava avanti imperterrita "Però ultimamente ho visto un paio di documenti plastificati, alla fine ci arrivano anche loro". Silenzio. L'idea che mi stesse dando della troglodita non l'ha neanche sfiorata. Continua a fare quello che deve fare, parla a vanvera ancora un po' e alla fine mi chiede "Allora come si trova, si sta bene qui, vero? O preferiva stare giù?" "Purtroppo preferisco di gran lunga l'Italia, ma non ho scelta quindi sono qui. Grazie mille e arrivederci".
Non è vero che preferisco stare in Italia. Ossia, mi piace stare lì ma mi piace parecchio anche stare qua. Capisco anche che da un punto di vista prettamente pratico qui sono avanti anni luce, l'ho anche scritto, ma non sopporto comunque che qualcun altro da fuori abbia la sfrontatezza di trattare l'Italia come se fosse un paese di primitivi. Grrrr grrrr grrrr.

mercoledì 18 luglio 2012

Ieri sera mentre rimettevo a posto la cucina le piccole hanno dato da mangiare a una famiglia di cigni dal balcone. Babbo cigno, mamma cigna e cinque piccoli cignetti. L'aspetto preoccupante è che la cosa non mi ha minimamente stupito. Fino a venti giorni fa vivevo in un posto dove l'idea di verde era il parco dietro casa, dove quando mi andava fatta bene trovavo un riccio, e ora do per scontato che sotto casa ci passino famiglie di cigni, folaghe, papere e gabbiani.
La sera poi siamo andate a fare un giro in bici verso un bel laghetto attorniato da boschi che c'è a cinque minuti da casa. Dietro di noi è arrivato un tizio in bicicletta che si portava dietro un cavallo. Dico, in bici con un cavallo, se lo portava dietro come se fosse un cagnolino al guinzaglio. Quello per fortuna sì che mi ha stupito, non sono ancora del tutto assuefatta!

lunedì 9 luglio 2012

Dal profondo di uno degli scatoloni emerge una cassetta che mi porto dietro da parecchio tempo. Monetine da uno, due, cinque centesimi - quando va bene dieci - accumulatesi negli anni. In tempi remoti la mia banca (che dio l'abbia in gloria in eterno, cara carissima Unicredit) mi aveva fornito dei blister in plastica da riempire. Una fila di monetine da un centesimo, un pacchettino di monetine da due centesimi e via contando. Manco a dirlo, mi mancava sempre il proverbiale centesimo per fare la lira (in questo caso, l'euro) e alla fine gliel'ho data su. Ho cacciato tutto in un cassetto, ogni tanto ci buttavo dentro altre monete in attesa di tempi più rilassati e via.
Ieri sera, trovata la scatolina, ho pensato: "Ok, stiamo rimettendo a posto tutta la nostra esistenza, mò smaltisco pure questa. Mi sono messa lì con pazienza e ho iniziato a riempire colonnine di plastica. Una moneta, due monete, tre monete...
Passa il marito e mi guarda con aria paternalistica. "Guarda amore che qui porti il sacchetto con le monete in banca, le butti dentro una macchinetta e quella te le conta automaticamente, accreditando l'importo sul tuo conto".
Eh già, perché voi siete il Paese Organizzato, mò stai a vedere che avete anche le macchinette intelligenti in banca, magari non mi tocca neanche fare la fila. Ma figurati.
Questa mattina lui tornava al lavoro, io l'ho accompagnato alla fermata del tram, che è sulla strada per il super. Siamo passati davanti alla filiale della nostra banca, siamo entrati, abbiamo imboccato la macchinetta con tutte le monetine che avevamo in casa, lei ha fatto "gdenk gdenk" per un po' e poi ha accreditato 12 euro e 43 centesimi sul nostro conto.
Ma dimmi te se questo è un paese normale.

domenica 8 luglio 2012

La casa sta prendendo forma. Si lavora quelle 12-14 ore al giorno a sistemar tutto, ma si vede anche la luce in fondo al tunnel. Alla fine diventerà una casa grande, luminosa, speriamo allegra.
Questa mattina sono uscita con Alice e mi sono persa a guardare le ville sull'acqua, i pesci nei canali (?), tutti gli animali per me più inaspettati che qui convivono tranquillamente con le abitazioni. Anzi, a volte si ha la sensazione di essere noi gli ospiti. Il cane scorrazzava felice annusando qua e là e io sono stata fulminata da una pensata geniale: non ero collegata a nessuno. Fantastico.
Quello che intendo è che per parecchio tempo non sono stata mai completamente sola. Anche se uscivo di casa avevo il cellulare che squillava (figlia o clienti), i messaggini del marito che arrivavano, le mail che mi perseguitavano, non ero mai scollegata dal resto del mondo. Essendo l'unico punto di riferimento per le piccole, ero costantemente raggiungibile, per forza di cose. E prontamente raggiunta.
Ora esco di casa senza niente. Le chiavi, il cane e via. Se le piccole hanno bisogno, chiedono a papà. Il nuovo mazzo di chiavi non è quello da secondino che mi portavo dietro fino a pochi giorni fa. Son solo due: una per entrare in casa e una per aprire il gabbiotto delle bici. Il marito a Bologna mi prendeva sempre in giro. "Che ci fai con tutte quelle chiavi?" Ci apro porte, che dici. Una per il portone, una per il cancello del garage, l'altra per la cantina, la porta blindata, la posta e via snocciolando. Hai voglia a fare il furbo, lui aveva ovviamente lo stesso numero di chiavi, solo che divise in due mazzi facevano meno impressione. Ora la posta ci cade dalla buchetta nella porta direttamente sullo zerbino dell'entrata, le porte blindate non esistono quindi una chiave basta e avanza ad entrare in casa e non abbiamo cancelli da superare. Apri una porta e sei fuori.
In qualche modo questa vicinanza tra il dentro e il fuori (le finestre gigantesche, l'essere sulla strada) ha azzerato l'ansia anche nelle piccole. Sarà che mancano i delitti sensazionalizzati in televisione, il senso di disastro incombente che qualunque piccola notizia fa scatenare sui nostri giornali, il gusto del dramma che ci portiamo dietro dalla nascita. Non so bene, comunque sono arrivate e hanno preso subito una bella piega olandese. Martine (che ci sorprende per l'allegria, la voglia di collaborare, un entusiasmo che non le conoscevamo) chiede di sua sponte di porter andare a fare la spesa da sola. Chiara ha già messo le mani avanti, il primo giorno di scuola se proprio dobbiamo vabbè, la possiamo accompagnare, ma già dal secondo va per conto suo. Ogni tanto una prende e inforca la porta "Io esco!" e ciao. Babbo si preoccupa un filino di più, questione di carattere, io confido che così come escono poi ritornano. Fino ad ora son sempre tornate.
Non per risvegliare gli spiriti cinesi, ma direi che fin'ora non ci possiamo proprio lamentare.

mercoledì 4 luglio 2012

Fine di un'odissea? Questo pomeriggio ha chiamato la tizia dell'impresa di traslochi dicendo che il camion con la nostra roba è ripartito. Non si è capito perché l'avevano bloccato, né come hanno risolto la situazione. Alla fine hanno ammesso che non c'era nulla di rotto, era sono una questione di "puntini sulle i" per i documenti (leggi: ci hanno beccato senza le carte in regola, 'sti francesi del benga). Il proprietario è andato da Bologna al paesello francese dove era tutto fermo per risolvere l'inghippo. Comunque sia, sembrerebbe quasi tutto risolto.

Io ci credo solo una volta che ho il salotto intasato di mobili e scatoloni.

martedì 3 luglio 2012

Louise è tornata!!!

Babbo aveva recuperato le ragazze dai nonni e dopo un giretto esplorativo della casa (apprezzata, per fortuna) ci siamo messi a lavorare in giardino. Visto che quei furbi dei traslocatori ancora non ci hanno fatto la grazia e non è dato sapere quando arriveranno i mobili, non possiamo far altro che decespugliare. Chi sfoltisce la siepe, chi taglia rami, chi pulisce per terra (mamma) ci godiamo il nostro primo giardino, che per quanto minuscolo ci sembra bellissimo. Si vede che Louise ha riconosciuto le voci perché tutto d'un tratto abbiamo visto il suo musino sbucare da sotto la porta di legno che chiude il giardino. Giubilo!

In dieci anni di vita non si è fatta coccolare così tanto. Ce la siamo goduta come se non l'avessimo mai vista prima. E' claudicante, si vede che qualche altro gatto più sgamato l'ha crocchiata per bene. Non per questo ha perso la sua verve, ieri sera aveva già infilato la porta un'altra volta. Mah, l'importante è che sappia tornare, se poi vuol diventare un gatto girovago a noi sta bene.

lunedì 2 luglio 2012

Se mi vedesse adesso l'amico che fino a pochi giorni fa si chiedeva come faccia ad apparire sempre serena e sorridente, temo che la mia immagine di persona solare subirebbe un duro colpo.
I mobili non sono ancora arrivati. Fino a ieri mi hanno detto che erano bloccati in Francia, mancava un documento. Questa mattina l'avrebbero faxato e poi il camion sarebbe ripartito. Quando oggi ho telefonato per sapere qualcosa mi hanno detto di avere un problema con il mezzo. La merce riparte domani. "Che problema? Domani??" "Un problema. Se ci riusciamo, questa sera". "Risposta un po' vaga. Ieri era un documento, oggi un problema con il mezzo, che sta succedendo?" "Ah, signora, la capisco. Per lei è brutto ma anche per noi è un problema rimanere senza mezzo".
Guardo fuori e faccio dei respiri profondi. Non è detto che siano stati beccati dalla polizia mentre cercavano di spacciar droga in mezzo ai nostri mobili, come pensa il marito. Né che abbiano deciso di vedere se c'era qualcosa di interessante e buttare il resto degli scatoloni in un campo, come penso io. In generale non tendo ad essere malfidente, cerchiamo di respirare e non pensare in negativo.
In tutto questo il peggio è che la nostra gatta 'maggiore' - Louise - ha pensato bene di andare a vivere da sola. Come se non aspettasse altro da anni. Alla prima piccolissima distrazione ha infilato la porta e ciao. L'abbiamo cercata dappertutto ma non la troviamo più. Il marito sostiene che era così di carattere, non le piaceva stare chiusa in casa e ora che si è ritrovata in un paradiso fatto di prati, canneti, canali pieni di paperelle cignetti e aironi non ci pensa proprio a tornare. Io mi preoccupo lo stesso perché anche se volesse tornare non conosce il posto abbastanza bene da ritrovarci.
Ok, il sole splende, le cose positive di base sono rimaste le stesse. La casa è ancora bellissima, tra poco arriva babbo con le ragazze e la famiglia è finalmente riunita sul serio. Manteniamo la calma, i mobili arriveranno, la gatta è semplicemente uscita di casa come fanno i figli a una certa età, tutto si sistema.
Sperèm.

sabato 30 giugno 2012

Siamo arrivati a casa. Strano a dirsi, visto che siamo entrati da poche ore in un appartamento mai visto in una città che non conosciamo un granché (io per niente) e che i mobili non sono ancora arrivati. Bè, c'è già un divano, ci sono dei letti, la cucina era già lì, non siamo proprio in mezzo al nulla. Però è buffo arrivare in un posto nuovo e sentirsi a casa. Speriamo sia di buon auspicio per l'inizio di questa nuova fase. Mi sono venuti in mente diversi motivi:
° Qui tutti attorno a noi parlano la lingua che usiamo in famiglia
° Per quanti intervalli italiani possa aver fatto, i precedenti dodici anni di Olanda mi sono ormai entrati nel DNA e ora ritrovare sapori odori colori vissuti così a lungo mi fa sentire come se non fossi mai partita
° Lo shock da distacco ancora non mi ha colpito perché siamo sfatti dal viaggio
° Gli animali - che l'anno scorso hanno avuto bisogno di una settimana buona per ambientarsi nel barcone dove abbiamo passato l'estate - si muovono come se non avessero mai abitato da nessun'altra parte
° Ed e io siamo tornati a vivere insieme senza l'ansia del contare le ore che ci separano dalla prossima partenza
Potrebbe essere di tutto. E in fondo, chi se ne frega del motivo.
Certo arrivare con un bel solicello che scalda ma non ammazza (23 gradi contro i quasi quaranta di Bologna) aiuta ad entrare in sintonia col mondo. E poi ritrovarsi seduti davanti a due finestroni giganteschi che prendono tutto un muro del salotto e vedere le canne che si muovono nell'acqua sotto al balcone, sentirne il fruscio, guardare le papere che vengono a vedere chi sei è un po' surreale. Questo pomeriggio fuori dalla finestra ho visto volare dei gabbiani. Un po' guardavo loro e un po' il marito, come se i gabbiani li avesse organizzati lui come scherzo di benvenuto.
Il nostro quartiere è un misto di case molto olandesi, strapulite, con i vasi di fiori ordinati davanti al portone e i vetri tirati a lucido che si alternano a case incasinatissime, con biciclette e vecchie sedie lasciate in mezzo alla strada, erbe incolte che crescono davanti all'uscio e macchine sullo sporchino andante. Poco più in là invece c'è un quartiere che riassume l'Olanda in due strade. Belle case grandi, giardini curatissimi, fiori ai balconi, posti dove si respira una quiete tranquilla di chi ha molto più di quanto non serva alla sopravvivenza. Ma tutto rigorosamente colorato di viola e azzurro. Organizzati sì, troppo inquadrati mai.

martedì 19 giugno 2012

Socc'mel, ragazzi, che chèld, per dirla alla Crozza in versione Bersani. Una delle poche cose che non mi mancherà di Bologna, per riuscire a far due cose ci vuole il doppio dello sforzo. Ma la notizia che la Tobagi sia stata proposta per il CdA della Rai è una di quelle che mette di buon umore.

mercoledì 6 giugno 2012

Non so spiegare bene perché amo tanto Bologna? Nessun problema, ci pensa Corrado Augias sulla Repubblica del 2 giugno 2012, in risposta ad una mail inviata da una lettrice sul terremoto.

"Credo che molti, me compreso, abbiano sentito in modo particolare il dolore per questa sciagura. L'Emilia non è una regione come le altre, quel "Bel pezzo dell'Emilia" come la chiamò (2004) il nostro amico rimpianto Edmondo Berselli, è un concentrato di tutto ciò che ci piace in questo paese: ideali durevoli, un realismo temperato dalla fantasia, la passione per il lavoro ben fatto che non esclude il divertimento, le battute, anche quelle grasse, una religiosità alla don Peppone, lontanissima dalle perfide astuzie vaticanesche. Una terra di confine tra la cordialità mediterranea e l'efficienza settentrionale che non conosce gli eccessi di altre zone del paese, una terra la cui generosità comincia dalla sua cucina e finisce nella bonomia di quelle cadenze dialettali che richiamano da sole il buonumore."

E ancora Massimo Gramellini dalla Stampa del primo di giugno:

Ci stanno impartendo una lezione di vita. Non solo di sopravvivenza. Di vita. Questi sfollati che si spaventano ma non vogliono dare soddisfazione alla paura. Che piangono senza piangersi addosso. E che ricominciano a vivere, nonostante.

Nonostante sia un cumulo di macerie, il supermercato di Mirandola funziona ancora: a cielo aperto. Hanno portato per strada le merci, i carrelli e naturalmente la cassa. Bisogna pur nutrirsi, coprirsi, curarsi. I verbi primordiali del vivere continuano a essere declinati al presente e al futuro, nonostante.

Amare, per esempio. Alice e Davide hanno confermato le nozze, nonostante la chiesa abbia perso un po' di mattoni e il ricevimento sia stato dirottato fra le tende. Per la luna di miele si vedrà. Intanto c'è il miele, appena arrivato con il latte e i biscotti da Reggio Emilia sopra un Tir. E c'è la luna, che splende in un cielo di promesse e trema molto meno della terra.

La gastronomia di Medolla sforna gnocchi fritti, nonostante. Nonostante la gastronomia sia diventata una cucina da campo in mezzo alla piazza del municipio. Potrebbe accontentarsi di fare panini e invece preferisce esagerare.

E la merciaia? Ha pianto tanto e dormito in automobile con il marito più anziano di lei. Ma ieri ha riaperto bottega perché le donne del terremoto sono scappate di casa senza ricambi e si mettono in coda sotto il sole per fare incetta di mutande e reggiseno, nonostante.

La regina del marketing è la fruttivendola biologica che alle ciliegie sopravvissute alla scossa impone il cartello «duroni della rinascita», trasformandole nel frutto della riscossa. Intorno a lei scene di gentilezza e onestà che altrove sarebbero straordinarie, ma non qui, nonostante. Un cliente vuole un chilo di mele però non può pagarle perché il bancomat ha esaurito i soldi. La fruttivendola: «Le prenda lo stesso, pagherà domani». E lui: «Ci mancherebbe, vado a cercare un altro bancomat».

Poi ci sono i bambini che giocano, nonostante. E le loro mamme che cercano di trasformare il terremoto in uno spettacolo d'arte varia. Al piccolo che dopo una scossa di assestamento frignava, la mamma ha spiegato: «Adesso ti insegno un nuovo gioco. Il gioco del salterello». Il bimbo ha smesso di piangere. «Che gioco è?» «Funziona così: io canto una filastrocca e ogni volta che mi fermo, tu salti». La mamma si fermava ogni volta che c'era una scossa. Così le scosse sono diventate una parte del gioco e il bambino si è riempito talmente di gioia che non ha trovato più posto per la paura. E ha continuato a saltare, nonostante.

domenica 6 maggio 2012

E questa la loro reazione.

Assolutamente mitiche.
Questa la mail che avevo mandato alle mie amiche:

Tirate pur fuori i fazzoletti.

Quando ho deciso di venire a vivere a Bologna, la bellezza di nove anni fa, tutti quelli che mi conoscevano mi hanno preso per pazza. Avevano tutte le ragioni per farlo. Qui non conoscevo nessuno; non avevo un lavoro, la famiglia o agganci. Ero stata qui una volta, per lavoro. E non avevo argomenti. "Ma perché vai a vivere in una città che non conosci, da sola con due bambine piccolissime, senza nessuno che ti possa aiutare?" Non ne avevo idea.

Ora lo so.

Quando sognavo Bologna sognavo voi, anche se ancora non vi conoscevo. Mi immaginavo esattamente dove sono ora: in una casa normale, con le piccole e le bestie, la scuola di quartiere, gli amici sotto casa, i giardinetti. E questo paesaggio era popolato da una rete di persone alle quali volevo bene.

Magari ci si vede poco, presi dalla frenesia che tutti viviamo quotidianamente. Ma non è necessario vivere insieme ogni minuto per sapere che l'altro "c'è". Non solo nel senso che se avessi bisogno potrei contare su qualcuno, ma semplicemente che esiste. E che il suo esistere porta un pò di luce alla mia vita.

Sono certa che tornare a vivere in Olanda ora sarà diverso. Sicuramente al trecentosessantesimo giorno di pioggia consecutiva mi metterò a smoccolare. Mi verrà la malinconia, come prevedibile. Ma non credo che avvertirò quel senso di vuoto che avevo dentro quando sono partita. Perché ormai il buco è stato riempito dalle nostre chiacchiere, dalle risate, dalle incazzature, dalle feste, i concerti, da una quotidianità condivisa. Io parto, ma voi rimanete parte di me e questo non me lo può portar via nessuna distanza fisica.

Mi ero ripromessa di evitare addii strazianti prima della partenza, ma questo proprio ci tenevo a dirvelo.

Augh.

domenica 29 aprile 2012

Tra le tante esperienze bellissime degli ultimi nove anni e i bei ricordi che mi porterò dietro, ce n'è uno che non avevo calcolato, una bella sorpresa. Non mi ero mai fermata a pensare al fatto che vista dall'Olanda per me l'Italia era tante cose: malinconia per la caciara e l'allegria, il gusto dei libri sfogliati e consigliati, le riunioni di famiglia, i sapori buoni, i paesaggi spettacolari. Ma non era proprio "casa". Casa mia era comunque l'Olanda, anche se avevo le radici ben piantate qui, che per di più tiravano. Andare a Milano - tornare a casa, appunto - era una cosa che a determinate scadenze si doveva fare, un po' come andare dal dentista, ma aveva poco della festa. La cosa incomprensibile era che la mia idea di "casa" fosse Bologna, anche se non ci ero mai stata.
L'altro giorno poi ho scritto una mail tra il serio e il faceto ad alcune amiche. Ci tenevo a dir loro che cosa hanno significato e significano per me. E lì ho messo a fuoco che per qualche misterioso motivo sono voluta venire qui perché sapevo, chissà come, che avrei trovato casa mia. Questa città lo è, tante delle persone che ci abitano sono la mia famiglia (alcune in senso letterale). Non che la mia vera famiglia a Milano valga di meno, è ovvio. Ma qui sono un pezzo di puzzle che entra a pennello esattamente nel suo posticino.
In realtà ancora non mi spiego perché sia così. Vero, ho conosciuto gente che ha dato ancora più senso e più calore alla mia vita. Vero anche che alcune parti di Bologna sono oggettivamente bellissime, ma non si può dire che sia tutta un gioiello. Perché qui sì e a Milano no non lo so spiegare. Comunque sia, la bella sorpresa è che anche se mi dispiace andar via, parto col cuore più leggero.
Anche se domani finisco dall'altro capo del mondo, ora ho una casa.

martedì 6 marzo 2012

Il mondo è il loro vaso di fiori.
Martine è in Francia per lo scambio insieme alla sua classe. Ha avuto la fortuna di trovare una corrispondente con la quale va molto d'accordo ed è assolutamente entusiasta. Ho ricevuto ordini precisi di non contattarla per l'intera settimana, ma ieri ha dato un segno di vita. Scrive: "Mi diverto molto qui e si mangia da dio. Mi hanno fatto assaggiare la fondue, poi mangio di tutto, anche le verdure. Ho mangiato i pomodori, i funghi i fagioli e fagiolini.. e tanta frutta, è tutto buonissimo qui. Poi dove abita la Morgane il paese è un miscuglio tra Marche, Amsterdam, Bologna e un po' di milano in certi punti."
Quando l'anno scorso avevo ventilato l'idea di mandarla in Inghilterra per un corso di lingua, mi aveva risposto che non ci pensava proprio e che non dovevo azzardarmi a organizzarlo perché era "abbandono di minore". Nel giro di un anno è diventata una viaggiatrice sfegatata. Mi commuove e mi riempie di gioia vederla grande, indipendente, aperta a nuove esperienze, cibi sconosciuti, paesaggi affascinanti e orizzonti che si espandono in modo esponenziale. Soprattutto, mi scioglie un nodo allo stomaco sapere che tutto il tempo che ho passato a preoccuparmi perché ogni tanto le sradicavo e non avevo dato loro un luogo preciso dove "appendere la loro nostalgia", per dirla alla Terzani, è stata energia sprecata. Non sono senza radici. Al contrario, hanno mille radici sparse un po' qua e un po' là. Nei nuovi posti che girano, trovano le Marche, l'Olanda, Bologna, Milano. Invece di rapportarsi a un solo posto fisso, hanno come riferimento una varietà di luoghi. Il marito ha usato questa bellissima espressione: il mondo è il loro vaso di fiori.