giovedì 1 novembre 2012

Qualcuno ha caricato su Facebook una vecchia intervista al fratello musicista, che io ho sentito oggi per la prima volta. A parte l'ovvio misto di stupore e ammirazione al trovare il fratello in questione che disquisisce di cose astruse rendendole semplici anche ai più duri di comprendonio (vedi sotto la voce: sorella), sentirlo parlare ha quagliato pensieri che mi ronzavano per la testa da giorni senza trovare le parole per uscire. A un certo punto ha citato Brecht che dice "Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore". Eccomi qua.
Da quando sono arrivata è stato importante trovare lavoro, ma il cercarlo mi ha costretto a farmi parecchie domande. Cosa fare? Qualcosa "al mio livello"? Vantaggio: un buono stipendio. Svantaggio: meno tempo per la famiglia e ritorno ad uno stress conosciuto fin troppo bene in passato. Qualcosa di più banale e part-time? A parte l'annientamento della materia grigia, ho trovato solo dinieghi perché "potevo fare molto di più". Far tesoro delle esperienze passate e metterle a frutto partendo con una nuova avventura in proprio? Certamente avere un'attività propria qui in Olanda è più semplice che in Italia, ma senza un'idea di base 'ndo vado.
Piano piano dalla lussuosa nebbia delle troppe possibilità si è fatta strada la mia vocina interiore a darmi sempre la stessa risposta: tu vuoi tornare a lavorare con i disabili. L'ho fatto tanti anni fa e ho amato questo lavoro con una ferocia che sinceramente non merita. Ai tempi una collega mi aveva detto: "Tu che hai studiato, vai a fare qualcos'altro. Questo è un non-lavoro." In effetti è così. Non c'è nulla di nobile o romantico ad occuparsi di disabili. Capivo la collega, così come capivo il marito parecchio allibito all'idea che rassettare una casa non mia o aiutare gente a farsi la doccia potesse darmi soddisfazione. Ma la realtà è una sola: mi piace sul serio.
Allora si è fatta strada questa idea folle di ricominciare dallo zero più assoluto alla giovane età di 45 anni. Tornare a fare un lavoro umile, che non differisce molto da quello che già fai a casa tua, e piano piano rimettersi a studiare e crescere in una professione nuova.
L'insistenza della vocina mi ha ovviamente portato a chiedermi perché ci tengo tanto a fare un lavoro simile. La risposta che mi sono data è: perché mi assomiglia. Lavorare in una struttura per disabili è come stare a casa propria. Lucia al lavoro non è diversa da quella "vera". Posso girare in jeans e maglietta invece di "vestirmi da cliente" come ho fatto per anni. Non passo ore dietro a un computer. Uso le mani per lavorare. Non devo badare alla diplomazia o a strategie di carriera, anzi, lavorerei in un ambiente piuttosto ruspante. Nessuna differenza tra quello che sono e quello che faccio.
La mia decrescita felice.

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