sabato 1 febbraio 2020


Che bella cosa invecchiare.
Fino a poco tempo fa mi portavo dietro uno zaino poderoso di errori indigesti. Ne ho gia' scritto in passato, a guardare indietro vedevo solo le scelte sbagliate. Uno studio che non e' sfociato in una brillante carriera, una sapienza finanziaria pari allo zero che mi ha fatto sempre vivere senza la minima serenita' economica. Posso scrivere un libro su tutti gli errori fatti con le figlie. Per non parlare dei due matrimoni e due divorzi. Amicizie che dovevano essere eterne e si sono sbriciolate. Attenzioni mancate, occasioni perse, tutta una fila di porte che avrei dovuto aprire per raggiungere la felicita' e la constante sensazione di essere l'unica a non sapere quale era quella giusta, o peggio ancora l'unica a non imbroccarne una mentre tutti attorno a me sapevano esattamente cosa fare e dove andare.
E ora sono libera. Non so se e' stato tutto quello che e' successo nell'ultimo paio d'anni o se e' una saggezza che viene semplicemente dall'invecchiare. Come dice Wanda Sykes, piu' invecchi piu' ti si abbassano i livelli di estrogeno nel sangue: 'the older you get, the less you care. The older you get, you become a man.' Puo' darsi. Quel che sia la ragione, biologica o esistenziale, quanto e' bello guardarsi indietro e pensare: Oh, ragazzi, non ne ho sbagliata una.
Anni di sensi di colpa perché le ragazze non avevano una base. Niente casa paterna con i nonni nello stesso quartiere, gli amici di sempre, le scuole conosciute, le radici ben salde in un posto solo. Le pare che mi sono fatta perché ogni tanto le sradicavo e le obbligavo a rifarsi una vita da qualche parte, solo perché io volevo andarmene e loro subivano le mie scelte. Ora ci penso e dico: ho tirato su due guerriere. Hanno imparato fin da piccole ad adattarsi, a trovare il bello dovunque fossero, a sperimentare sulla propria pelle che dovunque vanno domani, hanno quello che serve per trovare la loro strada e ricominciare. Se penso ad una collega che e' finita in terapia perché non e' riuscita a suparare il trauma di essersi trasferita letteralmente tre strade piu' in la', capisco che questa per loro e' una forza.
Per anni anch'io ho sentito il peso di avere il cuore scheggiato, ogni pezzetto in un angolo di mondo diverso. Tutta la gente che amo sparsa ai quattro venti. E dove prima la sensazione era quella di non essere 'completa' perché sono tutti dispersi, ora prevale la gioia di pensare che dovunque vada, amo qualcuno. Se mi pesava l'idea di non avere (per me e le ragazze) un posto 'dove appendere la nostalgia', per dirla alla Terzani, ora penso semplicemente che abbiamo piu' attaccapanni della norma.
Ho capito che alcune amicizie in effetti erano fatte per durare una vita, ma altre avevano senso solo in un determinato periodo e avevano una data di scadenza. E ho rimpiazzato la sensazione di aver fallito per l'ennesima volta nel tenere in vita un rapporto con la gratitudine di quello che e' valso fino a che e' durato.
Non mi pesano piu' gli errori fatti, che sono lunghi come un'enciclopedia. Sono grata di tutte le castronerie che alla fine mi hanno portato qui. Con un lavoro che amo, in un Paese urticante che ha una sua algida bellezza, con il mio cane, i miei gatti, le figlie e un nuovo equilibrio da cercare. Si e' spezzato lo stampo interiorizzato che una famiglia esiste solo fino a che si vive tutti appiccicati sotto lo stesso tetto e ora cerco una via per una famiglia di affetti e non di spazi. E piu' si allarga la mia, piu' mi rendo conto che la geografia non vale nulla; gli ostacoli erano tutti nella mia testa.
La liberta'.

martedì 1 maggio 2018

Il blog e' nato come diario per le cose buffe dette dalle bimbe, per non farle sbiadire come tutti gli anni passati. Ogni tanto mi e' servito come sfogo, o come stampella durante qualche trip filosofico, ma non posso dire che la costanza sia stata un elemento prevalente. Mi accorgo ora di non aver scritto nulla nel 2017. Buffo, perché nella classifica degli anni difficili, il 2017 si e' portato a casa tutte le coppe e le medaglie. E io che di norma scrivo per schiarirmi le idee o affidare alla carta pensieri molesti in modo che mi lascino in pace, non ho buttato giu' neanche una riga.
Ora l'ho riaperto per comunicare la gioia dell'ultimo raduno a Fanano e trovo la bozza di un post dell'anno scorso; evidentemente ci avevo provato ma mi sono auto-censurata perche' era una palla tremenda (grazie, coppia di neuroni sfiancati che mi accompagnate da sempre). Una frase del post abortito era: "Piu' che altro dovro' trovare un modo di accettare che non 'appartengo'. Cito Brene Brown: "Belonging is being somewhere you want to be and they want you. Fitting in is being somewhere you want to be, but they don't care one way or the other. If I get to be me, I belong. If I have to be like you, I fit in." Dopo tanti anni passati qui, e senza aver oggetivamente nulla di cui lamentarmi, certamente mi camuffo bene."
Mi ballavano dentro mille pensieri, colori, risate, paesaggi che volevo mettere in parole senza  perdermi nella melassa. Ora mi accorgo che basta un post abbozzato. Al raduno 'appartengo', pertanto son felice come una pasqua. 
Non era poi tanto difficile. 

lunedì 26 dicembre 2016

Ci ho messo piu' di un anno, ma ora la racconto.
Quando nonno ha optato per l'eutanasia siamo entrati in un giro che ovviamente non conoscevamo. L'idea astratta e' cosa buona e giusta, poi per ottenere il 'permesso' di andarsene con la dignita' intatta bisogna passare per medici, controllori, esperti. Ad ogni curva devi stare a spiegare il perché e il percome e rimetterti al giudizio insindacabile di un perfetto sconosciuto. Un percorso faticoso ma affrontato; permesso ottenuto. Un mercoledi' mattina, mentre io ero a casa con le ragazze, babbo suocera e cognata sono stati col nonno, che se ne e' andato alle nove in punto e alla velocita' della luce. Fin qui tutto bene.
Poi si scopre che, non trattandosi di morte naturale, un giudice deve dare l'autorizzazione alla cremazione. Ci vuole una settimana. La scelta e' quella di portare il suocero in un mortuario o tenerlo in casa. Manco a dirlo, mio suocera al mortuario non ci pensa proprio.
E cosi' inizia la settimana piu' surreale che abbia mai vissuto. Il suocero viene sistemato su un letto-frigorifero. Non scherzo, il letto e' uno di quelli banalissimi che si trovano in tutti gli ospedali, ma nonno giace su una piasta refrigerata a meno venti gradi e in pratica viene congelato. Tutto bello sistemato, elegante, con i suoi occhialini sul naso ma in versione stoccafisso. Come se l'idea non fosse abbastanza raccapricciante, mia suocera lo tratta se fosse ancora con lei. Si siede vicino a lui a bere il caffe',  sta li' mentre legge un libro, mette su la loro musica preferita. E noi tutti a starle dietro. Si va a trovarla, si cena tutti insieme nella serra con il morto accanto e non si fa una piega. All'inizio perché ogni cosa che le dia sollievo e' benvenuta, alla fine in realta' perché ci sembra la situazione piu' naturale del mondo. A cena col cadavere, niente di piu' serafico.
Passa un anno, nonna affronta la vedovanza e la vita con grande forza ed energia. Ieri eravamo da lei a festeggiare il Natale, tutto in allegria. Da quando se ne e' andato nonno non e' mai lontano, ma non e' una presenza molesta. Lo si ricorda con affetto e naturalezza, ma non affiora neanche troppo spesso nei nostri discorsi. Questo per dire che ieri sera non ero pronta quando sono andata a mettermi il pigiama e me lo sono trovato davanti. La suocera, gentilissima, ci ha ceduto il letto a due piazze. Entro in camera sua e l'urna con le ceneri e' li', fra il letto e il comodino. Per un attimo non ho registrato, sono rimasta li' a guardare senza capire se ero inorridita o se la cosa mi sembrasse del tutto naturale.
Alla fine abbiamo dormito come dei sassi.
Ho ancora da capire se ho acquisito un'invidiabile dimestichezza con la morte o se dovro' bruciare tutti i miei risparmi in sedute psichiatriche.

martedì 16 agosto 2016

Io 'sta cosa non la capisco.
Ho un senso di appartenenza molto spiccato. Sono profondamente felice quando mi sento lo spicchio di una comunita'. Il mio giro a Bologna, la tribu' di cugini. Essere un pezzetto di un sistema con una sua identita' precisa mi tiene ancorata, soddisfatta.
Eppure ormai ho superato ampiamente la meta' della mia esistenza e se guardo indietro vedo un disegno piuttosto preciso nel casino costante che mi pare di vivere. Passo cinque, sei anni in un posto (lavoro, casa, volantariato, non importa cosa) e poi inizio a smaniare. Essere parte di un tutto mi da fastidio come una canottiera bagnata. Ho solo voglia di tagliare tutti i ponti, non vedere piu' chi fino a poco tempo fa mi sembrava vitale, fare letteralmente piazza pulita e poi ricominciare da capo.
Dicotomia esistenziale spicciola. O psicolabilita'.

sabato 30 luglio 2016

Siamo in vacanza a Texel, isolotto fatato sul mare del Nord. Passeggiate, giri in bicicletta, negozietti, deliziose cene al ristorante. Una pacchia.
Ci siamo Ed e io, la nonna, le ragazze e i due cani, che vivono settimane paradisiache tra pisolini in giardino e passeggiate nei boschi. Facciamo un mucchio di giri, ma ci rimane comunque il tempo di stare in polleggio totale. Le ragazze, ovviamente, ognuna per conto suo.
Una sera tutto d'un tratto me le trovo nel letto. Prima una e poi l'altra. Chiacchiere, coccole. Sono un po' impietrita. Avere due adolescenti in casa vuol dire essere guardata come un insetto molesto dalla mattina alla sera, sbagliare anche solo a chiedere se qualcuno vuole bere qualcosa, essere reguardita su tutto e mal sopportata. Va bene cosi', son fasi, e non me ne metto piu' di tanto. Pero' poi ci rimango secca a trovarmele entrambe tra le braccia. Chiedo a Chiara se c'e' qualcosa che non va. No, mi risponde, volevo solo stare un po' con te. Mi scappa da ridere, dico "Ma da quando?" Mi risponde serafica: "Di giorno non ti conosco proprio, ma la sera mi piace stare un po' insieme."
Il riassunto dell'adolescenza in una frase.

martedì 24 maggio 2016

Allora. Fare un lavoro che appassiona e' una gran fortuna. Farlo a pochi metri da casa e' anche una gran comodita'. Lo svantaggio e' che ovviamente il tuo lavoro diventa la tua vita. Ad un certo momento, grazie anche alle strinate familiari, mi sono resa conto di dover cercare qualcosa da fare al di fuori del mio mondo di gente storta. Basta binomio lavoro - casa, casa - lavoro.
A una persona normale viene in mente un bel corso di zumba. Il club di lettura. Lo sport. Io mi sono messa a fare la volontaria per l'Associazione Umanistica.
Prendo da Wikipedia: "Un'organizzazione che promuove l'umanesimo secolare e rappresenta le persone che cercano di vivere serenamente senza religione o superstizione. L'associazione è dedita al secolarismo, ai diritti umani, alla democrazia, all'egalitarianismo e al rispetto reciproco. Promuove una società aperta con libertà di espressione e di credo e l'abolizione dei privilegi goduti dalle religioni in ambito legale, culturale, televisivo e altrove sussistano." Cacchio, ho trovato dei compagni, vado!
Mando la domanda, faccio un colloquio (olandesi gente seria), mi affidano il primo lavoro. Mi occupo di una signora malata terminale di cancro (ma imparare a fare la maglia, no?) Per fortuna con questa tizia mi trovo benissimo, e' battagliera, di estrema sinistra, appassionata di attualita', politica, del mondo in generale, stiamo bene insieme. Appena possiamo, ci troviamo a fare due chiacchiere. Ottimo.
Poi inizio a fare le riunione con l'associazione. La prima volta ho pensato fossero parecchio sbarellati, ma non ci ho visto nulla di male. Alcuni mi sembravano un po' mielosi, altri piu' raziocinanti, ma ho sospeso il giudizio.
Settimana scorsa ho fatto due giorni di training. Argomenti a tratti pratici, a tratti no. Sono rimasta allibita. Non ce n'era uno che non facesse una cronaca puntuale e dettagliata di ogni pensiero o sentimento. "Sono un po' stanco dopo una giornata di lavoro, noto in me un certa resistenza." "Sono felice di essere qui con voi, siete come un bagno caldo." "L'importante e' il legame con il nostro prossimo. Trovo che il silenzio sia il modo migliore per entrare in contatto con qualcuno." "L'amore e' la base di tutto." E tutti ad abbracciarsi. Ci si abbraccia la mattina per salutarsi, ci si abbraccia prima di tornare a casa. Ma non un abbraccio e via. No, si rimane allacciati per dei minuti interi.
Ora, e' vero che io sono un'anziana stronza, con la lingua al cianuro, l'anima di pece e una spocchiosa tendenza a trattare il prossimo con freddo cinismo. Ma dio bonino, se non trovo gente razionale e con i piedi a terra manco nell'Associazione Umanistica, dove li vado a cercare? Possibile che sia solo io ad aver bisogno di fatti concreti, azioni ragionate, rapporti tra adulti e non di sdolcinati messaggi d'ammmmore?
Aiuto!

giovedì 31 dicembre 2015

Sono le cinque della mattina. E' dall'una e mezza che Alice va avanti e indietro per casa come se si stesse avvicinando l'Apocalisse. L'ho portata fuori, sono venuta a dormire con lei sul divano, ma non c'è stato verso di calmarla. A differenza degli anni passati, ancora non si sentono dei gran botti. Chissà quali antenne le fanno comunque capire che è arrivato Capodanno. Per lo meno, immagino sia quello che la spaventa, che altro potrebbe essere.
Detesto i festeggiamenti finti per la fine dell'anno, l'idea di dover essere per forza allegri ad una determinata ora mi comunica una tristezza infinita. Da anni me ne vado beatamente a letto alle dieci, come tutte le sere, di norma portandomi dietro il cane. Quest'anno invece siamo ospiti dai cognati; casa nuova, primo Capodanno senza nonno, dài stiamo insieme. Non è una cattiva idea, ma se voglio sopravvivere devo farmi un bel pisolino prima di partire.
Non ho più raccontato com'è andata la morte del nonno. Ci arriverò, devo prima sbrogliare un grumo di immagini, sensazioni, pensieri che ancora non hanno trovato le parole giuste.
Comunque sia, se l'anno nuovo assomiglia a quello appena passato possiamo solo considerarci veramente molto fortunati.