sabato 20 dicembre 2014

Mi gira per la testa un tale casino di pensieri, emozioni, dire fare baciare lettera testamento che non ci capisco più niente. Mi stanno andando in corto circuito anima e cervello.
Eravamo fermi al fatto che non avevo più un lavoro. O meglio, che non avevo più il lavoro che volevo. Colloquio dal capo, lettera di licenziamento, ci spiace tanto non è che non sei brava è questa dannata riorganizzazione, ciao. E fin qui ci arrivo perché l'ho sempre saputo. Ho iniziato a lavorare con i ragazzi nel novembre del 2012 e a dicembre già mi avevano detto che non potevano tenermi. Un po' tirata dentro da colleghe che facevano finta di non aver capito bene, un po' catapultata in situazioni disastrate dove un paio di mani extra non potevano che essere utili, sono andata avanti come se nulla fosse da un mese all'altro. Poi è arrivata la possibilità di andare a scuola ('ma finito il percorso scolastico non ti possiamo assumere, che sia chiaro') e ho spiccato un salto mortale con triplo avvitamento carpiato. Per un attimo era parso che alla fine sarei riuscita ad atterrare senza frantumarmi le caviglie. A settembre, tre giorni dopo aver preso il diploma, ho fatto un colloquio per passare da 'aiutante' a 'senior' e mi hanno preso. O meglio, semi-preso. Il lavoro di senior era mio - una montagna di letame accumulatasi in anni di negligenza - ma un contratto no. Fai la senior fino alla fine dell'anno, grazie. Mentre spalavo guano e mi divertivo con le colleghe, la mia capa passava da un membro della direzione all'altra per cercare di convincerli a tenermi. Come il mio vasto pubblico ben sa, alla fine non le è riuscito il colpo e dieci giorni fa mi han tirato via il materasso da sotto i piedi un secondo prima dell'atterraggio. L'avevo giusto sfiorato col pollicione.
Bernoccolone sulla testa, stelline che girano, mannaggialamiseria e passiamo oltre. Ripulisco la casella della posta, butto via tutte le carte che non mi servono più, metto a posto i vari progetti in attesa di riuscire a delegare la mia montagnetta di casini a qualcun altro e inizio a guardarmi attorno per un altro lavoro. E poi una bella mattina mi telefona la nuova capa e mi dice che mi assumono a tempo indeterminato. Così.
Il materasso alla fine si è materializzato sotto le mie chiappe come in un fumetto. Ci son seduta sopra e mi guardo attorno senza capire bene cos'è successo.
Meno male che non avevano ancora svuotato il bidone della carta. Ora ripesco tutto e appena smette di girarmi la testa vado avanti.

martedì 9 dicembre 2014

Il mio piano era semplice. Dopo aver ricevuto ieri la conferma ufficiale che dal primo di gennaio non lavoro più con i miei ragazzi, avrei passato settimane filate a piangere, commiserarmi e farmi pare su un futuro da disoccupata, alla mia tenera età. Ieri in effetti il piano era riuscito benissimo. Ho pianto come una fontana e mi sono sentita tradita da un destino baro e crudele, oh me tapina. Questa notte non ho dormito, quindi per oggi avevo programmato una giornata di tv, fazzoletti stropicciati e disperazione.
Ho tenuto botta mezz'ora. Nonostante il silenziatore sentivo il cellulare al piano di sotto trillare in continuazione e richiamarmi alla vita. Dietro alle tende tirate si intravedeva il sole. L'idea di una bella passeggiata fresca al bosco con Alice si faceva sempre più insistente. Insomma, ho retto ben poco. Mi sono fatta una doccia, sono andata a zonzo col cane e sono tornata al lavoro dove, in compagnia di un'altra collega che se ne deve andare, ho riso fino alle lacrime.
Evidentemente la disperazione non fa per me.

sabato 6 dicembre 2014

Mi è capitato di tradurre una lettera. Niente di particolarmente difficile, una semplice lettera dall'olandese all'italiano. Sono stata catapultata in una vita che non seguo più, presa dalla scelta delle parole, dalle sfumature, dalla perenne lotta tra la testa che sa "questa parola significa questo" e un punto indefinito dietro allo sterno che dice "mmmh, ce n'è un'altra che calza meglio, pensa oltre".
Appena aperta la lettera, la mia vita reale è svanita. Niente ragazzi, mail, appuntamenti, turni. C'eravamo solo io, il computer e le parole. Dove in passato avevo mille dizionari sparsi su un tavolo, ora apro tab su uno schermo. Un sito per sinonimi e contrari, uno per le traduzioni dall'inglese all'italiano, un altro per l'olandese-inglese. Mi piacerebbe sapere in base a quale scompenso mentale se leggo un testo in olandese la prima possibile traduzione che mi salta in mente è invariabilmente in inglese e solo dopo averci pensato su mi viene in mente in ìtaliano. Per la scrittura mi manca un ponte semantico tra le due lingue, devo passare dall'autostrada dell'inglese, mentre quando parlo il problema non si pone.
Da una semplice lettera sono nate considerazioni sconnesse su come funziona un cervello, come vola il tempo e quante diavolo di Lucie esistono. Ora faccio quasi fatica a ricordarlo, ma per diversi anni tradurre è stato il mio lavoro. Era il mio mondo e ora non ne è rimasta neanche l'ombra, fatta eccezione per la reazione allergica ai libri mal tradotti. I ragazzi non esistevano e io vivevo in una dimensione diversa. Ora che è iniziato il conto alla rovescia sul lavoro, mi domando se potrei tornare a tradurre o a lavorare in ufficio. Da un punto di vista prettamente pratico direi di sì, se lo sapevo fare prima lo so fare anche adesso. Solo che prima non conoscevo quel mondo parallelo di gente stortignaccola che da un senso alle mie giornate. Se torno dietro ad una scrivania, usciranno dalla mia testa così facilmente? Probabile. Faccio fatica a crederlo, ma per parecchio tempo non ho potuto neanche immaginare di fare altro se non stare in un ufficio; magari funziona così anche nell'altra direzione, anche se un po' ne dubito.
Quello che comunque riaffiora come una costante è il mio amore per le parole. La soddisfazione di condurre battaglie epiche alla ricerca di quel determinato termine che sai essere perfetto, mentre lui ti prende per i fondelli rifiutando di affiorare da un angolino buio del tuo cervello. Il famoso libro che il marito attende con fede da anni non nascerà mai perché mi manca una storia, ma in quanto a voglia di scrivere me lo godrei di sicuro.

sabato 16 agosto 2014

Uno dei miei tanti problemi è il costante conflitto tra il mio primo pensiero e quello che in effetti dico. Esempio: ieri il marito stava combattendo con una di quelle sportine malefiche che puoi tenere in borsa in caso ti capiti di fare una spesa inaspettata. Dopo un po' gliel'ha data su. Ho preso la sportina per piegarla e il primo commento che mi è venuto in mente è stato: "Non ti preoccupare, amore, faccio io. Lavoro con gli handicappati."
Ovviamente è scattato il filtro. Perché anche se lo penso con bonomia sono abbastanza cosciente del fatto che trattare così il prossimo non è bello. Il primo, nitidissimo ricordo di quando ho capito che dovevo tenere a freno la lingua risale alle elementari. Non ricordo bene cosa mi sia venuto fuori di bocca, ma vedo ancora il mio compagno di classe in lacrime, la maestra che lo consola e la sua domanda: "Ma come fai a piangere per qualcosa che ha detto Lucia? E' così dolce."
Altra fregatura. Non solo la natura mi ha dotato di una mente nera come la pece ma l'ha nascosta dietro ad una faccia da angioletto. Avessi un centesimo per tutti i commenti che ho ricevuto sulla dolcezza del mio sorriso a quest'ora avrei la Porsche sotto casa.
E così vivo in un costante conflitto fra quello che veramente vorrei dire e quello che in effetti formulo. Immagino di non essere la sola con questo problema, ci sarà altra gente abbastanza spocchiosa da vaneggiarsi più intelligente del prossimo. Però vorrei che non fosse così. Sono dolorosamente conscia del fatto che ho ben poco da esser superba; vedo fin troppo bene i miei limiti e purtroppo superano di gran lunga le virtù. Mi piacerebbe solo che l'umiltà necessaria mi venisse naturale e non fosse una perenne battaglia tra un ego a mongolfiera e un cervello che lo deve ridimensionare ad ogni piè sospinto.

sabato 2 agosto 2014

Allora, quand'è che il destino si decide a farmi vincere la lotteria? Ho da metter su un'ong con Alessandra per qualche buona causa ancora da definire, vorrei coronare il sogno di produrre macchine automatiche insieme a Salva; ci sarebbero un paio di casine da comprare, i debiti di alcuni parenti e amici (e i nostri...) da saldare, un paio di viaggetti che non mi dispiacerebbero. Insomma, niente sotto i due milioni di euro, direi.
In realtà poi ci penso e mi rendo conto di aver già vinto almeno cento lotterie. Due figlie sane (magari non del tutto sane di mente, ma insomma nella norma). Un compagno che tra un casino e l'altro mi regge da venticinque anni. Una famiglia allargata che amo, una serie di amici che danno un senso a quel che vivo. Abito in quello che sembra essere uno dei pochi angoli di mondo dove non rischio di finire smaciullata appena esco di casa, o di ritrovarmi le figlie annientate da un bombardamento. In questo angolo di mondo c'è un sottoangolino serafico fatto di diritti civili, servizi efficienti, abbondanza e relativa quiete, e qui abbiamo messo su casa. Se la mia più grande vessazione deve essere il cane col mal di pancia o il lavoro ancora da trovare, non ho più nulla da chiedere al destino. Mi sa che i miei due milioni sono già arrivati, solo non in denaro.

domenica 20 luglio 2014

Poi faccio festa.
Se dovessi fare una classifica dei momenti più incasinati di una vita incasinata l'ultimo anno a Bologna vincerebbe a mani basse. Tra l'azienda, la casa, le bestie (intese come figlie), gli animali (intesi come bestie), il marito già all'estero, il cuore sotto i tacchi per la partenza, il trasloco da organizzare, la necessità di traghettare le ragazze in una nuova vita non desiderata nel modo più sereno possibile e tutto il corollario direi che ho avuto da fare. In realtà se ci ripenso non sento nessuna fatica, ricordo solo gli amici, l'allegria e la bellezza della città che amo e chiamo abusivamente mia. Però so anche che ogni tanto pensavo "Una volta sistemati in Olanda, faccio festa." Poi siamo arrivati in Olanda e ho iniziato a pensare "Oh, appena trovo un lavoro, faccio festa." Il lavoro l'ho trovato, un lavoro assurdo che amo con una passione malriposta e mi sono detta "Cacchio, però, se riesco a prendere un diploma per rimanere nel campo, faccio festa."
Ora il diploma è a portata di mano. Il primo esame, quello più rognoso, è andato. Le tesine sono consegnate, mi mancano solo un paio di relazioni e tre esami meno preoccupanti. Ho compresso in dieci mesi un percorso di studi di quattro anni, chiedendomi tutto il tempo che cacchio fai in quattro anni se in realtà ce la puoi fare in molto meno tempo, senza calcolare che si fa in pochi mesi solo se si è disposti a sospendere il resto della propria vita per tutta la durata del corso.
Allora, faccio festa? No, ora penso: "Appena trovo un altro lavoro, faccio festa." Eh, no, così non vale. Perché aspetto sempre il prossimo traguardo per fermarmi un attimo a pensare "Oh, ce l'ho fatta, mò faccio festa"?

domenica 13 luglio 2014

Alice ha passato tutti i mondiali di calcio in preda al panico. Ad ogni partita si rifugiava tremabonda sul divano, con la solita faccia da cane bastonato che la contraddistingue. La prima volta non avevo collegato la tensione alla partita, pensavo fosse spaventata dal maltempo (con lei potrebbe essere anche una foglia secca che fa croc, vai a sapere). Solo quando me la sono trovata nel letto, con le chiappe sul mio cuscino, ho iniziato a sospettare qualcosa. Non osa mai salire di sopra, le camere da letto sono il regno dei gatti e lei se la fa sotto solo al pensiero. Per di più su c'è il tanto temuto bagno dove ogni tanto - stesi dalla puzza - la laviamo. Per superare il timor panico e salire lo stesso deve succedere qualcosa di grosso, di solito i botti a Capodanno. Vabbè, in effetti finché ha giocato l'Olanda qualche botto si sentiva, ci poteva anche stare. Ma questa sera che giocano Germania e Argentina, si può sapere ad Alice che gliene frega?
Me la sono ritrovata in braccio. Dimentica della stazza (e del fatto che pesa una ventina di chili) si è accucciata sulle mia ginocchia come un gigantesco orso ingombrante. Cosa non darei ogni tanto per riuscire a capire cosa le passa per la testa...

mercoledì 2 luglio 2014

Avanti a testa bassa come un mulo. Lavoro scuola lavoro compiti lavoro casa lavoro scuola. Ogni tanto alzo lo sguardo e saluto un pezzo di famiglia, ma per il resto tiro dritta. Ho ancora due settimane di tempo per finire quel che devo consegnare a scuola, che non è poco. Esco da turni di notte per mettermi al computer, finisco di lavorare, faccio una spesina al volo e mi rimetto dietro al computer.
Poi però telefona zia. E' un po' che la volevo chiamare per far due chiacchiere, come si fa sempre, ma sono rimasta indietro di una decina di giorni. Appena sento la sua voce per un nanosecondo penso "ora non ho tempo" e il nanosecondo successivo registro il suo tono e chiedo: "Cos'è successo?" "Eh - sospira - è morta Mamì". Mamì? Non dire cazzate, non è possibile.
Perché poi non dovrebbe essere possibile morire a ottant'anni, con il cuore balengo, il diabete e una serie infinita di acciacchi non è chiaro. Anzi, è chiarissimo. Non è possibile perché non voglio, tutto qui. Mamì è la mia infanzia; io vado lemme lemme per i cinquanta e dovrei ben aver fatto pace con l'idea che non sono più una bambina. Anzi, ho fatto una fatica boia a scrollarmi di dosso la posizione di "piccola". Però Mamì era la prova provata che quando voglio posso tornare indietro. Entrare in gelateria, berci un caffè insieme facendo due chiacchiere, ritrovarmi nello stesso identico posto dove zia mi lasciava mentre andava a fare la spesa quando ero un nano. Un po' stavo tra i piedi a Mamì dietro al bancone, un po' andavo a rompere a Costantino sul retro mentre lui preparava i gelati. Un profumo inconfondibile che a me dice una cosa sola: sono felice.
Ora Mamì se n'è andata e io sono a centinaia di chilometri di distanza e non posso neanche andare al suo funerale. Non dico niente di tutto lo smottamento di emozioni che scatta ogni volta che succede qualcosa a zia, con relativo romanzo di legami sentimenti ricordi che ha lei come figura principale. Però ora mi fermo. Per Mamì, per Costantino, per zia, per me. Mi metto in balcone a guardare l'acqua e le canne mosse dal vento e il computer dovrà aspettare.



domenica 8 giugno 2014

Ma cosa esiste di più bello di un paperino fresco fresco?

venerdì 30 maggio 2014

Uno va a messa la domenica, l'altro si ferma il venerdì. Chi ha sacro il sabato e chi non mangia carne di maiale. Uno si reincarna, l'altro non tocca le vacche, il terzo non mangia pesce di venerdì e un quarto deve macellare gli animali in un certo modo. Uno può combinare tutti i casini che vuole che tanto il Padreterno lo perdona, l'altro crede nello stesso Padreterno ma non può sgarrare di una virgola altrimenti appena deve rendere conto all'Altissimo viene fulminato all'istante. Incensi, preghiere, pellegrinaggi, icone. Oro o colori sgargianti, silenzio o salmodia, chiese opulenti o austere, templi, moschee.
Da quando sono passata dalla tolleranza alla spocchia? Più che di tolleranza forse si è sempre trattato di supponenza o più semplicemente di indifferenza. Credi un po' in quello che ti pare, basta che sei felice. Ora invece mi sembrano tutte una serie di scaramanzie che mi danno l'orticaria. Ma come, mi trasferisco nel Paese più tollerante al mondo e peggioro? Sì, e pure parecchio. Nel mio lavoro devo tener conto del credo di tutti; per questo bimbo si cucina in un certo modo perché sennò dio s'incazza, quell'altro non può andare a letto se non legge prima un pezzo della bibbia, la terza non si può vestire come le pare. E io faccio sempre più fatica a rispettare il volere di tutti, a pensare che per loro è una verità incontrovertibile.
Devo assolutamente scendere dal piedistallo. Solo che è come quando hai un brufolo: appena lo noti, vedi solo quello. Dove mi giro mi imbatto in qualche rito che mi urta i nervi da matti.
Mah, speriamo che mi passi in fretta.

venerdì 23 maggio 2014

Il sospetto di essermi messa un po' nei guai per i prossimi quattro mesi mi era venuto, ma l'avevo represso per benino. Da novembre dell'anno scorso sono a scuola per ottenere il mio diploma di assistente sociale. Un istituto tecnico con un percorso che di norma dura tre o quattro anni, a seconda della specializzazione, ma che offre percorsi abbreviati di un anno per adulti che già operano nel campo. Devi lavorare come assistente sociale un minimo di 24 ore settimanali, andare a scuola una volta alla settimana e arrivi alla fine dell'anno con il tuo bel diplomino. Visto che voglio continuare a fare questo lavoro per il resto dei miei giorni mi era sembrata una mossa intelligente.
A novembre inizio ad andare a Rotterdam tutti i giovedì e a consegnare i miei bei compitini. Il solo fatto che la mia mentor mi abbia complimentato per lo splendido uso della lingua la dice lunga sul livello minimo richiesto. Comunque sia ho una classe molto divertente, imparo parecchio e vado tranquilla. Unica spina è che il mio lavoro ha pagato il percorso di studi a livello 3 (e ringrazio in ginocchio sui ceci visto che nessuno era tenuto a farlo perché non mi possono prolungare il contratto) mentre il mio sogno nel cassetto era il 4. La differenza fra 3 e 4 sta nella capacità di coordinare e gestire il lavoro ad un livello un filino meno brado, ma soprattutto significa una chance in più di rimanere nel campo. Inutile dire che si trova un lavoro più facilmente con un 4 che con un 3. Comunque avevo pensato di finire il 3 e poi in futuro vedere cosa combinare. Fino al giorno in cui la mia mentor di cui sopra mi dice: "Ma perché non fai il 4, con la testa che hai?" Perché quando l'avevo chiesto un anno fa mi era stato detto che non era possibile.
E' possibile. Solo che non è furbo farlo a quattro mesi dalla scadenza del contratto. Perché per il livello tre praticamente avevo già finito, anche se il diploma lo prendo a settembre. Mentre per il livello 4 devo fare una caterva di tesine aggiuntive entro la fine di luglio, per poi affrontare gli esami (due mesi) e non posso sforare di un giorno. Risultato: a letto con l'occhio spalancato, il cervello in poltiglia che ancora non si capacita e lo stomaco ribaltato.
Un giorno però qualche terapista mi dovrà spiegare perché non ho continuato a fare l'impiegata da brava persona equilibrata.

giovedì 15 maggio 2014

Corso di lotta antincendio e rianimazione per poter fare i turni di notte. Figata spaziale giocare letteralmente col fuoco, spegnere incendi controllati con un bell'istruttore dietro alle spalle pronto ad intervenire. In realtà credo che in questo preciso momento il fuoco mi faccia paura più di qualunque altro accidente mi possa capitare sul lavoro. In compenso se da una parte mi rassicura poter rianimare qualcuno che mi collassa vicino, dall'altra il corso ha avuto un effetto dulcolax fulmineo. Finito il corso ho girato i tacchi, ho acceso il computer e ho pagato la sottoscrizione alla NVVE, associazione per l'eutanasia volontaria. Non tanto per l'eutanasia in sé che, come il mio testamento biologico, per me è un fatto scontato, discusso, messo per iscritto e archiviato. Quanto per la possibilità di ordinare una medaglietta che ha valore legale con su scritto NON RIANIMARE. Se mi accascio per strada e qualcuno si azzarda a tirarmi su lo massacro. I danni al cervello anche solo dopo pochi minuti senza ossigeno mi terrorizzano.
E su questa nota allegra, vado a farmi un bel caffè.

domenica 11 maggio 2014

'Perdere peso' è un'espressione fuorviante. Perdo le chiavi, il cellulare, la memoria ma i chili di troppo li devo proprio prendere a calci. E anche così spesso ritrovano la strada di casa.

mercoledì 30 aprile 2014

Si va a mangiare a Borgotonto. Non scherzo, la cittadina fiabesca a due chilometri dalla nostra casina si chiama proprio così: Domburg, letteralmente borgo scemo.
Comunque, una volta arrivati facciamo due passi e Chiara esprime il desiderio di andare a mangiare la pizza. Sempre pericoloso, ma visto che ormai alle figlie piacciono quelle surgelate che sanno di cartone ondulato andrà bene anche una pizzeria olandese.
Troviamo un ristorante molto bello. Grande, arioso, stracarico di gente ridanciana. Ristorante Pizzeria Verdi. "Mah, - azzardo una protesta - sul menu hanno scritto spaghetti senza l'h, troppo italiani non saranno." Che palle mamma, siamo in Olanda o no? Taccio, entriamo.
Ci accoglie un cameriere esuberante che ti fa passare ogni boria. Massì, siamo in Olanda, non sarà certo il ristorante più raffinato della terra ma va bene così.
In effetti a parte il fatto che qui sulla pizza non mettono la mozzarella ma un formaggio tipo Gouda che la rende immangiabile ai più, non è male. I miei spaghetti ai frutti di mare (Spagetti al Mare) hanno lo stesso sapore di quelli dei Quattro Salti in Padella. Poteva andarmi molto peggio.
E' stata una bella serata, ma il Ristorante Pizzeria Verdi rimarrà impresso nella memoria familiare come quello che ci ha portato un cucchiaio per mangiare gli spaghetti. Un cucchiaio. Evidentemente questi l'Italia non la sanno trovare neanche su una cartina geografica. Martine: "Nooooo, il cucchiaio nooooo, non ci credo". Il marito mi ha lanciato lo sguardo di quello che teme che la consorte lo imbarazzi in pubblico. Evidentemente pensava che mi alzassi e tirassi l'oggetto ingiurioso in testa al cameriere. Per un nanosecondo in effetti ho pensato di restituirglielo con un filino di supponenza. In realtà poi ci siamo fatti tutti una bella risata, abbiamo dichiarato che il nostro onore italiano è stato offeso ma non con intenti bellicosi e ci siamo goduti la serata. Coronata poi da un ottimo gelato di un locale un po' più in là, che non si dichiara italiano ma fa un gelato degno della nostra migliore tradizione.

martedì 29 aprile 2014

Ed eccoci qua. Dopo la bellezza di otto anni  ci siamo permessi la prima vacanza intesa come giretto in un posto sconosciuto a veder cose nuove invece di settimane a scrocco da amici e parenti. Quattro giorni in riva al mare del Nord, in una casetta piantata sulla spiaggia. Ci sembra un lusso strabiliante. In effetti lo è.
Per i primi trenta minuti abbiamo avuto addirittura il sole. Siamo in Zelanda (provincia precorritrice della 'Nuova Zelanda'), un posto veramente molto bello. Inutile dire che il primo aggettivo che viene in mente è: verde. Quelle surprise. Comunque ci sono le mucche e le pecore d'ordinanza, i paesini pittoreschi, le ville che ti fanno sognare di vincere la lotteria, tutto a posto.
Martine ha pensato bene di farsi venire due linee di febbre, trasformandosi in un Mangiamorte che farebbe invidia al miglior Voldemort. Chiara si è rivelata essere l'unica olandese doc della famiglia. Dopo i primi trenta minuti d'accoglienza festiva ovviamente siamo tornati con i piedi per terra, siam pur sempre in Olanda. Pioviggina, ci saranno dodici gradi scarsi, non proprio un tempo da mare. La piccola non se ne accorge. Non che non le importi e vada fuori lo stesso a giocare sulla spiaggia. Non se ne rende proprio conto. Parte in quarta, scava buche, raccoglie conchiglie, gioca a bocce, fa amicizia con gli altri ragazzini in vacanza e torna tutta esaltata "Che bel tempo!". L'abbiamo definitivamente persa alla sua nuova Patria, ma consola sapere che almeno in queste lande si sentirà sempre a suo agio.

sabato 26 aprile 2014

Oggi qui è il primo Giorno del Re, visto che la su' mamma ha abdicato e per la prima volta dopo oltre cent'anni ci ritroviamo con un Re invece che una Regina. Per fortuna ha fatto tre figlie femmine quindi poi si riprende con la tradizione di una dinastia tutta al femminile, che l'idea di un Re in qualche modo ci urta parecchio.

Quindi oggi si impongono: vestiti arancioni, sciarpe bretelle cappelli, va bene qualunque cosa. Bandiere blu bianche e rosse dipinte sulla faccia. Birra a fiumi. Cibi improbabili cotti e mangiati per strada, in barba ad ogni elementare regola sanitaria. Mercatini pulisci-cantine in giro per tutta la città. Canti e balli per strada. Giornata del non-sono-poi-così-olandese, il che comporta il non abbaiare contro il prossimo ma accoglierlo con un sorriso, anche se è uno sconosciuto.

Insomma, toda joia toda beleza. Che se poi mi passano i giramenti di testa continui in realtà vado a lavorare dai gravi, dove non mancherò di presentarmi con un bellissimo cappello arancione sgargiante e una bomboletta di brillantini arancioni da sparare contro chiunque mi si pari davanti, che sia d'accordo o meno.

venerdì 25 aprile 2014

Ho preso una decisione monumentale. Non voglio più cercare un lavoro d'ufficio. Si potrebbe commentare: mbè, che non si era capito? Invece per me è una decisione di quelle che cambiano davvero la vita. Al momento ho il lavoro più bello del mondo, ma mi sento sempre sopra una bolla di sapone - bellissima e fragile. Appena scoppia mi tocca tornare alla realtà e trovarmi un lavoro 'normale'. Invece ora ho preso la solenne decisione di cercare qualcos'altro sempre in questo campo. Se non sono i disabili saranno i drogati o i senzatetto, ma non sarà più una scrivania, il vestito buono e un capo tirato a lucido.
Come tutte le svolte epocali anche questa mi mette una gran fifa, ma allo stesso tempo è una liberazione formidabile. Mai e poi mai mi voglio ritrovare di nuovo con il cappello in mano a chiedere un lavoro che non amo a qualche tizio che non ha nessun diritto di giudicarmi ma ha il potere di decidere del mio futuro lavorativo.
D'ora in poi sono un'assistente sociale e nient'altro.

giovedì 10 aprile 2014

"Mio zio Alex Vonnegut,un assicuratore che aveva studiato ad Harvard e che abitava al 5033 di North Pennsylvania Street, mi insegnò una cosa molto importante.Disse che quando le cose vanno bene dovremmo fare in modo di accorgercene. 
Non parlava di grandi trionfi bensì di semplici epifanie: bere una limonata all'ombra in un pomeriggio afoso, sentire il profumo di una panetteria vicina, pescare e e fregarsene se si pesca qualcosa o no,ascoltare qualcuno che suona bene il piano nell'appartamento accanto al nostro. 
Zio Alex mi suggeriva, in tali occasioni, di dire a voce alta: 'Se non è bello questo, cosa mai lo è?'"

(Kurt Vonnegut, Cronosisma)

mercoledì 19 marzo 2014

Oggi elezioni comunali. Si vota nelle palestre delle scuole (porti le bestie, voti, vai al lavoro). Si vota nelle stazioni fra un treno e l'altro prima di andare ufficio. Si vota in tram e bus trasformati in seggi elettorali. Si vota mentre poeti recitano i loro lavori. Si vota allo zoo. Si vota nei musei.
E' bellissimo.

martedì 11 marzo 2014

Martine ha deciso di tirar giù tutti i poster iper-adolescenziali con i quali aveva tappezzato ogni angolino utile della sua stanza e optare per un nuovo colore. Ne discute con un'amica, ondeggia tra il celeste e un bel color crema. Alla fine delibera e scende per informarmi della sua decisione: "Mamma, dipingo la stanza di crema." Bello, amore - rispondo io. Marti si gira verso l'amica e commenta: "Vedi? Per mia madre potrei dipingere sui muri tanti cazzi e le andrebbe bene uguale."

Sarà tardi per rivedere la mia politica educativa?